r***@libero.it
2015-04-27 16:25:17 UTC
In un mio vecchio post prendendo spunto dal grafico che illustrava il funzionamento di un orologio a luce:
Si dice << orologio a luce >> quello che calcola il tempo attraverso la riflessione di un raggio di luce fra due specchi piani e paralleli. Dati due simili orologi in quiete, ben sincronizzati, la partenza dei raggi di luce, la loro riflessione e la loro percezione saranno eventi contemporanei. Ma se uno si muove di moto relativo rispetto all'altro, con velocità uniforme v, che cosa accade?
Per l'osservatore solidale con l'orologio in moto relativo, diciamo nel sistema K', il raggio di luce continua a riflettersi fra i due specchi, perpendicolarmente ad essi. Ma per un osservatore del sistema K , solidale con l'orologio che per noi è in quiete, il moto del raggio di luce si compone con quello traslatorio dell'orologio, e si ha la traiettoria diagonale della figura: non più AB, ma A'B'' e B''A'''.
ed esprimevo queste mie considerazioni:
Qualsiasi oggetto posto in un sistema inerziale in moto uniforme ha beneficiato di una porzione della forza che ha portato il sistema a muoversi alla propria velocità, forza che poi ha terminato di agire.
Risulta pertanto ovvio che una biglia lanciata perpendicolarmente alla direzione di moto verso una parete perfettamente elastica,viaggi apparentemente su di una semiretta e torni poi indietro nella stessa direzione, mentre ad un osservatore esterno al sistema la stessa biglia appaia muoversi nel senso del moto su percorsi diagonali.
Non mi è altrettanto chiaro capire qual è la forza fisica che entra in azione nel momento stesso in cui un fascio di fotoni viene generato e diretto su uno specchio posto in su di una parete perpendicolare alla direzione di moto, affinché il fascio di luce percorra un percorso su semirette diagonali simili a quelle percorse dalla biglia che diversamente stava già viaggiando alla stessa velocità del sistema considerato.
Fra le diverse risposte mi piace citare quella ricevuta da Elio Fabri, che con la consueta cortesia, competenza, e chiarezza di esposizione mi chiarì che il raggio di fotoni in questione non era, in effetti, trascinato da nessuna forza, poiché soltanto il fascio che usciva con specifica inclinazione rispetto alla velocità del sistema inerziale, avrebbe seguito il percorso delle diagonali.
Ora nella sua dimostrazione Elio Fabri si avvaleva come esempio di un apparecchio laser puntato in una certa direzione e tutto il ragionamento aveva una sua inevitabile consequenzialità.
(Nell'eventualità la mia sintesi possa aver falsato il pensiero di Elio, lo riporto per intero in calce.)
Casualmente mi è capitato recentemente di osservare lo schema di una semplice torcia a batterie da dove si evince che se si pone una sorgente nel fuoco di uno specchio parabolico, per esempio una lampadina, i raggi riflessi formano un fascio parallelo all'asse, meno disperso e di più alta luminosità direzionata.
Con tutta la mia buona volontà non mi riesce ad applicare le considerazioni espresse in merito al laser alla semplice torcia elettrica.
Ringrazio in anticipo Elio Fabri, o chi fosse eventualmente disponibile, per le gradite delucidazioni su cosa succeda al fascio di luce della torcia puntato sempre sul solito specchio, che nel sistema inerziale in movimento, ancora una volta dovrà andare per diagonali.
Grazie a tutti.
Ruggero Giullari
(Risposta di Elio Fabri al mio vecchio post)
e' semplice...
Cominciamo col dire che non ha senso parlare di "forze" applicate ai
fotoni: i fotoni non sono piccolissime palline. Questo modello funziona,
almeno in certe condizioni, per gli elettroni o i protoni, ma i fotoni
sono ... bestie assai piu' strane: sono particelle _intrinsecamente
quantistiche_, alle quali non e' possibile in alcun modo applicare i
concetti dell'usuale meccanica.
Occorre anche precisare che cosa vuol dire "generare un fascio di
fotoni" e "dirigerlo verso qualcosa".
Se prendi un singolo atomo in uno stato eccitato, questo potra' emettere
un fotone, ma non in una direzione determinata. Anche se hai un insieme
di atomi (un gas) questo emettera' molti fotoni, ma potrai trovarli
tutt'attorno, senza nessuna preferenza direzionale.
Eppure i fasci di luce esistono, da molto tempo: come si fa a produrli?
Occorre qualcosa di piu' degli atomi emettitori: occorre un apparato
(specchi, lenti) che interagendo coi fotoni li rende direzionali.
Percio' per affrontare la domanda, o meglio per riformularla, occorre
riferirsi a un qualche specifico sistema che genera luce direzionale.
Nessuno e' semplice da questo punto di vista, ma avendoci pensato un po'
credo che tutto sommato il laser sia ancora quello piu' semplice da
spiegare.
Percio' riformulo la tua domanda cosi': ho un laser puntato in una certa
direzione, e ne esce un fascio molto ben collimato lungo l'asse del
laser. Ora metto in moto il laser, con velocita' perpendicolare al suo
asse, e vedo che la luce che ne esce ha cambiato direzione: e' inclinata
in avanti nel senso del moto. Come si spiega questo? Che cosa ha fatto
cambiare direzione ai fotoni?
(Spero tu sia d'accordo che questa versione riproduce correttamente il
tuo problema.)
Per rispondere ci vuole un po' di pazienza (o meglio, ce ne vuole per
seguire la risposta). Bisogna cominciare col dire qualcosa su come
funziona un laser.
Mi limito a una descrizione estremamente semplificata, a livello
divulgativo, cercando di salvare cio' che serve per il nostro discorso.
Un laser e' un mezzo contenente atomi in uno stato eccitato (per es. un
gas, ma puo' essere anche un solido) e - cosa essenziale - due specchi
piani tra loro paralleli posti agli estremi del tubo che contiene il
gas.
Un atomo emette un fotone: questo viaggia, viene riflesso da uno degli
specchi, e riattraversa il gas. La stessa cosa accade a piu' fotoni, che
vengono riflessi avantie indietro dagli specchi.
Il meccanismo centrale del laser e' che questi fotoni incontrando altri
atomi li "stimolano" a emettere a loro volta, e l'emissione avviene
nella stessa direzione (e fase) del fotone che l'ha provocata. Quindi il
numero di fotoni aumenta, a condizione:
a) che venga mantenuto un adeguato numero di atomi eccitati
("pompaggio")
b) che non ci siano perdite, o che queste siano trascurabili.
Un po' di perdita c'e' per forza: uno degli specchi non e' perfettamente
riflettente, ma lascia passare una piccola frazione dei fotoni che
riceve. Questo e' necessario, visto che noi vogliamo far uscire i fotoni
dal laser per utilizzarli...
E' importante osservare che i fotoni che escono hanno proprio la stessa
direzione di quelli che hanno fatto l'avanti-indietro nel tubo, lungo
l'asse del laser.
Prevengo una domanda:
"Non avevi detto che un atomo emette in tutte le direzioni? Allora
perche' hai considerato solo i fotoni che viaggano fra gli specchi? E
quelli che partono in direzioni diverse?"
Avvertenza: qui sto travisando pesantemente la corretta descrizione, per
rendere il discorso di lunghezza finita :) Alla fine diro' due parole
per indicare dove ho "barato"...
Diciamo che i fotoni emessi in direzione "sbagliata" vanno semplicemente
persi; anzi, anche un fotone che arrivi a colpire uno specchio, ma un
po' obliquamente, dopo la riflessione probabilmente manchera' il secondo
specchio. Si capisce che affinche' un fotone riesca a viaggiare molte
volte tra i due specchi dovra' essere diretto con molta precisione lungo
l'asse.
Ecco perche' il fascio del laser e' cosi' ben collimato...
Ora che abbiamo esaminato il funzionamento del laser fermo, abbiamo le
basi per capire che cosa capita quando il laser e' in moto.
Dato che la luce (i fotoni) impiegano un certo tempo per andare da uno
specchio all'altro, per poter continuare a riflettersi debbono riuscire
a colpire gli specchi, che man mano si spostano.
Facciamo due conti.
Sia h la distanza tra gli specchi, v la velocita', t il tempo tra due
riflessioni.
---
/
/
/
/
---
Nel tempo t tra una riflessione e la successiva, lo specchio di arrivo
ha avanzato di vt; percio' il percorso del fotone e' l'ipotenusa del
triangolo di cateti h (verticale) e vt (orizzontale), ossia
sqrt(h^2 + v^2 t^2).
La luce viaggia comunque a velocita' c, per cui il tempo impiegato e'
sqrt(h^2 + v^2 t^2) / c, che deve essere proprio t. Da qui si calcola t,
che pero' non interessa; interessa invece l'angolo alfa fra il percorso
obliquo dei fotoni e la verticale. Dato che il cateto orizzontale e' vt,
e l'ipotenusa e' ct, abbiamo
sin(alfa) = v/c
e questa e' la direzione di viaggio dei fotoni, e anche quella in cui li
vediamo uscire.
Questo e' tutto.
In poche parole, quando gli specchi si muovono solo i fotoni che
viaggiano un po' "in avanti" riescono a riflettersi e a tornare indietro
al modo giusto per far funzionare il laser.
Avrei finito, ma avevo promesso di dire dove ho barato.
Ho semplicemente trascurato che in realta' i fotoni sono oggetti
quantistici, e quindi hanno anche proprieta' ondulatorie. Percio' nella
riflessione su uno specchio di dimensioni finite non si deve pensare a
una specie di "biliardo a fotoni", ma piuttosto considerare le onde e la
relativa diffrazione.
Il risultato e' analogo, ma con una differenza importante: e' la
diffrazione che decide se il fotone riflesso incontrera' l'altro
specchio e quanto sara' collimtao il fascio uscente.
Tra l'altro conviene che gli specchi siano concavi anziche' piani,
perche' la luce si concentra meglio; ma il limite a quanto la si puo'
concentrare e' appunto dato dalla diffrazione.
Confesso che non so neppure se ho fatto bene a presentare la cosa come
ho fatto, o se avrei fatto meglio a parlare di diffrazione ecc. fin
dall'inizio. Ma temevo che avrei reso il tutto ancor meno
comprensibile...
-------------------
Elio Fabri
Dip. di Fisica "E. Fermi"
Universita' di Pisa
Si dice << orologio a luce >> quello che calcola il tempo attraverso la riflessione di un raggio di luce fra due specchi piani e paralleli. Dati due simili orologi in quiete, ben sincronizzati, la partenza dei raggi di luce, la loro riflessione e la loro percezione saranno eventi contemporanei. Ma se uno si muove di moto relativo rispetto all'altro, con velocità uniforme v, che cosa accade?
Per l'osservatore solidale con l'orologio in moto relativo, diciamo nel sistema K', il raggio di luce continua a riflettersi fra i due specchi, perpendicolarmente ad essi. Ma per un osservatore del sistema K , solidale con l'orologio che per noi è in quiete, il moto del raggio di luce si compone con quello traslatorio dell'orologio, e si ha la traiettoria diagonale della figura: non più AB, ma A'B'' e B''A'''.
ed esprimevo queste mie considerazioni:
Qualsiasi oggetto posto in un sistema inerziale in moto uniforme ha beneficiato di una porzione della forza che ha portato il sistema a muoversi alla propria velocità, forza che poi ha terminato di agire.
Risulta pertanto ovvio che una biglia lanciata perpendicolarmente alla direzione di moto verso una parete perfettamente elastica,viaggi apparentemente su di una semiretta e torni poi indietro nella stessa direzione, mentre ad un osservatore esterno al sistema la stessa biglia appaia muoversi nel senso del moto su percorsi diagonali.
Non mi è altrettanto chiaro capire qual è la forza fisica che entra in azione nel momento stesso in cui un fascio di fotoni viene generato e diretto su uno specchio posto in su di una parete perpendicolare alla direzione di moto, affinché il fascio di luce percorra un percorso su semirette diagonali simili a quelle percorse dalla biglia che diversamente stava già viaggiando alla stessa velocità del sistema considerato.
Fra le diverse risposte mi piace citare quella ricevuta da Elio Fabri, che con la consueta cortesia, competenza, e chiarezza di esposizione mi chiarì che il raggio di fotoni in questione non era, in effetti, trascinato da nessuna forza, poiché soltanto il fascio che usciva con specifica inclinazione rispetto alla velocità del sistema inerziale, avrebbe seguito il percorso delle diagonali.
Ora nella sua dimostrazione Elio Fabri si avvaleva come esempio di un apparecchio laser puntato in una certa direzione e tutto il ragionamento aveva una sua inevitabile consequenzialità.
(Nell'eventualità la mia sintesi possa aver falsato il pensiero di Elio, lo riporto per intero in calce.)
Casualmente mi è capitato recentemente di osservare lo schema di una semplice torcia a batterie da dove si evince che se si pone una sorgente nel fuoco di uno specchio parabolico, per esempio una lampadina, i raggi riflessi formano un fascio parallelo all'asse, meno disperso e di più alta luminosità direzionata.
Con tutta la mia buona volontà non mi riesce ad applicare le considerazioni espresse in merito al laser alla semplice torcia elettrica.
Ringrazio in anticipo Elio Fabri, o chi fosse eventualmente disponibile, per le gradite delucidazioni su cosa succeda al fascio di luce della torcia puntato sempre sul solito specchio, che nel sistema inerziale in movimento, ancora una volta dovrà andare per diagonali.
Grazie a tutti.
Ruggero Giullari
(Risposta di Elio Fabri al mio vecchio post)
Non mi e' altrettanto chiaro capire quale e' la forza fisica che entra in
azione nel momento stesso in cui un fascio di
fotoni viene generato e diretto su uno specchio posto in su di una parete
perpendicolare alla direzione di moto, affinche' il fascio di luce percorra
un percorso su semirette diagonali simili a quelle percorse dalla biglia che
diversamente stava gia' viaggiando alla stessa velocita' del sistema
considerato.
Buona domanda, e la risposta, se la si deve dare senza tecnicismi, nonazione nel momento stesso in cui un fascio di
fotoni viene generato e diretto su uno specchio posto in su di una parete
perpendicolare alla direzione di moto, affinche' il fascio di luce percorra
un percorso su semirette diagonali simili a quelle percorse dalla biglia che
diversamente stava gia' viaggiando alla stessa velocita' del sistema
considerato.
e' semplice...
Cominciamo col dire che non ha senso parlare di "forze" applicate ai
fotoni: i fotoni non sono piccolissime palline. Questo modello funziona,
almeno in certe condizioni, per gli elettroni o i protoni, ma i fotoni
sono ... bestie assai piu' strane: sono particelle _intrinsecamente
quantistiche_, alle quali non e' possibile in alcun modo applicare i
concetti dell'usuale meccanica.
Occorre anche precisare che cosa vuol dire "generare un fascio di
fotoni" e "dirigerlo verso qualcosa".
Se prendi un singolo atomo in uno stato eccitato, questo potra' emettere
un fotone, ma non in una direzione determinata. Anche se hai un insieme
di atomi (un gas) questo emettera' molti fotoni, ma potrai trovarli
tutt'attorno, senza nessuna preferenza direzionale.
Eppure i fasci di luce esistono, da molto tempo: come si fa a produrli?
Occorre qualcosa di piu' degli atomi emettitori: occorre un apparato
(specchi, lenti) che interagendo coi fotoni li rende direzionali.
Percio' per affrontare la domanda, o meglio per riformularla, occorre
riferirsi a un qualche specifico sistema che genera luce direzionale.
Nessuno e' semplice da questo punto di vista, ma avendoci pensato un po'
credo che tutto sommato il laser sia ancora quello piu' semplice da
spiegare.
Percio' riformulo la tua domanda cosi': ho un laser puntato in una certa
direzione, e ne esce un fascio molto ben collimato lungo l'asse del
laser. Ora metto in moto il laser, con velocita' perpendicolare al suo
asse, e vedo che la luce che ne esce ha cambiato direzione: e' inclinata
in avanti nel senso del moto. Come si spiega questo? Che cosa ha fatto
cambiare direzione ai fotoni?
(Spero tu sia d'accordo che questa versione riproduce correttamente il
tuo problema.)
Per rispondere ci vuole un po' di pazienza (o meglio, ce ne vuole per
seguire la risposta). Bisogna cominciare col dire qualcosa su come
funziona un laser.
Mi limito a una descrizione estremamente semplificata, a livello
divulgativo, cercando di salvare cio' che serve per il nostro discorso.
Un laser e' un mezzo contenente atomi in uno stato eccitato (per es. un
gas, ma puo' essere anche un solido) e - cosa essenziale - due specchi
piani tra loro paralleli posti agli estremi del tubo che contiene il
gas.
Un atomo emette un fotone: questo viaggia, viene riflesso da uno degli
specchi, e riattraversa il gas. La stessa cosa accade a piu' fotoni, che
vengono riflessi avantie indietro dagli specchi.
Il meccanismo centrale del laser e' che questi fotoni incontrando altri
atomi li "stimolano" a emettere a loro volta, e l'emissione avviene
nella stessa direzione (e fase) del fotone che l'ha provocata. Quindi il
numero di fotoni aumenta, a condizione:
a) che venga mantenuto un adeguato numero di atomi eccitati
("pompaggio")
b) che non ci siano perdite, o che queste siano trascurabili.
Un po' di perdita c'e' per forza: uno degli specchi non e' perfettamente
riflettente, ma lascia passare una piccola frazione dei fotoni che
riceve. Questo e' necessario, visto che noi vogliamo far uscire i fotoni
dal laser per utilizzarli...
E' importante osservare che i fotoni che escono hanno proprio la stessa
direzione di quelli che hanno fatto l'avanti-indietro nel tubo, lungo
l'asse del laser.
Prevengo una domanda:
"Non avevi detto che un atomo emette in tutte le direzioni? Allora
perche' hai considerato solo i fotoni che viaggano fra gli specchi? E
quelli che partono in direzioni diverse?"
Avvertenza: qui sto travisando pesantemente la corretta descrizione, per
rendere il discorso di lunghezza finita :) Alla fine diro' due parole
per indicare dove ho "barato"...
Diciamo che i fotoni emessi in direzione "sbagliata" vanno semplicemente
persi; anzi, anche un fotone che arrivi a colpire uno specchio, ma un
po' obliquamente, dopo la riflessione probabilmente manchera' il secondo
specchio. Si capisce che affinche' un fotone riesca a viaggiare molte
volte tra i due specchi dovra' essere diretto con molta precisione lungo
l'asse.
Ecco perche' il fascio del laser e' cosi' ben collimato...
Ora che abbiamo esaminato il funzionamento del laser fermo, abbiamo le
basi per capire che cosa capita quando il laser e' in moto.
Dato che la luce (i fotoni) impiegano un certo tempo per andare da uno
specchio all'altro, per poter continuare a riflettersi debbono riuscire
a colpire gli specchi, che man mano si spostano.
Facciamo due conti.
Sia h la distanza tra gli specchi, v la velocita', t il tempo tra due
riflessioni.
---
/
/
/
/
---
Nel tempo t tra una riflessione e la successiva, lo specchio di arrivo
ha avanzato di vt; percio' il percorso del fotone e' l'ipotenusa del
triangolo di cateti h (verticale) e vt (orizzontale), ossia
sqrt(h^2 + v^2 t^2).
La luce viaggia comunque a velocita' c, per cui il tempo impiegato e'
sqrt(h^2 + v^2 t^2) / c, che deve essere proprio t. Da qui si calcola t,
che pero' non interessa; interessa invece l'angolo alfa fra il percorso
obliquo dei fotoni e la verticale. Dato che il cateto orizzontale e' vt,
e l'ipotenusa e' ct, abbiamo
sin(alfa) = v/c
e questa e' la direzione di viaggio dei fotoni, e anche quella in cui li
vediamo uscire.
Questo e' tutto.
In poche parole, quando gli specchi si muovono solo i fotoni che
viaggiano un po' "in avanti" riescono a riflettersi e a tornare indietro
al modo giusto per far funzionare il laser.
Avrei finito, ma avevo promesso di dire dove ho barato.
Ho semplicemente trascurato che in realta' i fotoni sono oggetti
quantistici, e quindi hanno anche proprieta' ondulatorie. Percio' nella
riflessione su uno specchio di dimensioni finite non si deve pensare a
una specie di "biliardo a fotoni", ma piuttosto considerare le onde e la
relativa diffrazione.
Il risultato e' analogo, ma con una differenza importante: e' la
diffrazione che decide se il fotone riflesso incontrera' l'altro
specchio e quanto sara' collimtao il fascio uscente.
Tra l'altro conviene che gli specchi siano concavi anziche' piani,
perche' la luce si concentra meglio; ma il limite a quanto la si puo'
concentrare e' appunto dato dalla diffrazione.
Confesso che non so neppure se ho fatto bene a presentare la cosa come
ho fatto, o se avrei fatto meglio a parlare di diffrazione ecc. fin
dall'inizio. Ma temevo che avrei reso il tutto ancor meno
comprensibile...
-------------------
Elio Fabri
Dip. di Fisica "E. Fermi"
Universita' di Pisa