Discussione:
decoerenza e proprietà
(troppo vecchio per rispondere)
Davide Pioggia
22 anni fa
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Salve.

Premetto all'esposizione della mia domanda una precisazione: seguo questo ng
solo saltuariamente e distrattamente, e non sono sicuro che quanto sto per
chiedere e affermare non sia già stato ampiamente discusso in passato. Onde
risparmiarvi fastidiose ripetizioni ho provato a fare delle ricerche con
google, ma ho trovato solo dei post che discutono gli argomenti in oggetto
senza afforntare gli aspetti che mi interessano maggiormente in questa
circostanza. Mi scuso pertanto nell'eventualità chiedessi cose già chiarite
e risapute, e pregherei in tal caso di indicarmi dove andare a cercare gli
sviluppi della discussione.

Venendo al punto, vorrei partire (ma non è solo qui che intendo andare a
parare) da una "domandona" assai in voga negli ultimi anni:

«L'effetto della "decoerenza" è in grado di fornirci una nuova e
soddisfacente "interpretazione" della MQ?»

Per esplicitare in modo non ambiguo il senso di questa domanda se ne
dovrebbero formulare chissà quante altre, "a cascata": perché la "vecchia
interpretazione" non sarebbe soddisfacente? e perché alcuni nuovi teoremi
(quelli di decoerenza) hanno convinto tutti di poterli utilizzare per
ottenere una "nuova interpretazione"? quei teoremi non hanno già una
"interpretazione" nell'ambito della "vecchia interpretazione"? come fa un
"teorema" di un certo sistema assiomatico a retro-agire sui postulati del
sistema assiomatico stesso? eccetera eccetera. Tutto ciò magari potrebbe
anche essere interessante, ma ci porterebbe troppo lontano.

Io qui darò per scontate molte cose, e supporrò di poter trovare una "base
comune" con i miei eventuali interlocutori affermando che la difficoltà
maggiore della "vecchia interpretazione" (quella "ortodossa", o "di
Copenhagen") è il fatto che per poter dare un significato fisico alle
grandezze matematiche utilizzate occorre supporre di essere in presenza di
un dispositivo (macroscopico) di misura, o comunque di potere -almeno in
linea di principio- effettuare delle osservazioni con un tale dispositivo.

Così ad esempio diciamo che |x,t> è un vettore tale che <x,t|x,t>
rappresenta la probablità (o la densità di probabilità) che un quanto venga
"trovato" (= assorbito, emesso, rilevato) nella posizione x all'istante t.
Se non ci fosse alcun dispositivo in grado di rilevare il quanto non
sapremmo che significato fisico attribuire a |x,t> e -di conseguenza- a
tutte le grandezze da esso derivate.

Questa "interpretazione" comincia a porre dei problemi quando si decide di
applicare ma MQ allo studio dell'universo, per almeno due ragioni:

1) se immaginiamo di scrivere la "funzione d'onda" per tutto l'universo:
allora per definizione stiamo parlando di un sistema isolato, e non possiamo
supporre che ci sia un "dispositivo macroscopico" esterno al sistema stesso
e in grado di interagire con esso

2) se studiamo l'universo "nei primi istanti", quando esso doveva essere
costituito da un insieme di quanti ad altissime energie, non è assolutamente
concepibile neanche all'interno dell'universo la presenza di "dispositivi
macroscopici aventi proprietà classiche".

Il problema è quindi quello di poter dire qualcosa di *fisico* per un "gas
di quanti" *isolato*, e in questo contesto se ci si attiene alla
"interpretazione ortodossa" la MQ sembra inefficace.

Immagino (e spero) di aver detto -fino a qui- cose piuttosto scontate.
D'altra parte chi avesse dei dubbi sull'"oggetto della contesa" può
limitarsi a dare una occhiata ad un semplice testo divulgativo come _Il
quark e il giaguaro_ dove Gell-Mann lo dice espressamente:

«Questa interprertazione originaria della meccanica quantistica, limitata a
esperimenti ripetuti eseguiti da osservatori esterni, è troppo ristretta per
essere accettabile oggi come la sua caratterizzazione fondamentale,
specialmente da quando è diventato chiaro che la meccanica quantistica deve
applicarsi all'intero universo.»

Bene. Detto ciò si potrebbe pensare che basti andarsi a leggere gli articoli
di coloro che stanno lavorando a queste cose per rendersi conto di quale sia
"lo stato dell'arte" nella soluzione del problema di cui sopra.

Però le cose non sono così semplici come si potrebbe immaginare,
perché -come è noto- gli articoli che compaiono sulle riviste specialistiche
contengono una gran quantità di teoremi nuovi ed interessanti, ma di
"filosofia" ce n'è (forse giustamente) assai poca.

Ad esempio si dice spesso che la "nuova interpretazione" è quella delle
"storie quantiche", ma se poi si va a leggere un articolo "tecnico" si
trovano le storie definite come un certo prodotto operatoriale, si trovano
un bel po' di proprietà matematiche di tali "storie" eccetera. Ma una
"formulazione ufficiale" della "nuova interpretazione" è assai difficile
trovarla.

L'unico che -per quanto ne so- ha cercato seriamente di "tirare le fila"
(anche dal punto di vista filosofico, oltre che matematico) è Roland Omnès
in _The Interpretation of Quantum Mechanics_ (io ho l'edizione originale
della Princeton del 1994, non so se nel frattempo sia stato pubblicato anche
in italia).

Omnès osserva giustamente che il punto cruciale di tutta la questione è
quello di definire una qualche "proprietà fisica" per un sistema quantistico
*isolato*:

«A reliable definition of what is to be understood by a physical property of
a quantum system must firs be given. It may be noticed that, when doing so,
one already departs from Bohr, who denied a priory the existence of such
specific properties and reserved them for the macroscopic systems. [...] It
would certainly be unwise to continue acting as was done long ago, when
physics was going at a tremendous pace. Then one proceeded as there were a
direct and natural correspondence between wave functions, the Schrödinger
equation, and all this abstraction with a voltmeter, an oscillograph, or an
accelerator. Who can "see" clearly this correspondence. The gap is too wide.
One must therefore begin very carefully so that _even the first words to be
pronounced should be duly chosen_. These first words are intended to
introduce the notion of property for an _isolated system_.» [ibidem, p.
103-104, il corsivo è mio]

E quali sono quei _first words_ che dovrebbero essere _duly chosen_?

Eccoli qua:

«A property asserts the value of some observables in some range of real
numbers at a given time.»

L'autore si rende conto che il termine "osservabile" rischia di ritirare in
ballo lo strumento di misura, e quindi si affretta a chiarire che esso può
essere definito in modo autonomo introducendo una serie di oggetti
matematici, che sono il noto spazio di Hilbert degli stati con gli opportuni
operatori autoaggiunti, ecc. Fatto questo egli tenta di fornire una
definizione "autonoma":

«A property of a physical system refers to an isolated system S, an
observable A and a seal set D. It may be described by a sentence stating
that "the value of the observable A is in the set D." [...] one sees that
all the word or symbols occurring in it have already a meaning within the
conceptual framework of quantum mechanics; the observable A is formally a
self-adjoint operator, its values are its eigenvalues, and D is a real set.
So everything is defined except for the word "is."»

Ma si tratta di un problema apparente, infatti, come dice - proseguendo - l'
autore:

«One will not of course give a definition of the verb "to be," if only
because it would necessarily use what is to be defined when it would begin
by "to be is...." Fortunately, the formalism is quite helpful by providing a
projector as the mathematical equivalent for the full sentence expressing
the property. This is quite simple, if somewhat abstract, because the rules
for using it will turn out to be the rules for using a projector as a
mathematical object.»

Nel passo citato Omnès, con una punta di ironia, lascia al lettore il
compito di stabilire quale sia la definizione di essere. Ma qualunque sia la
definizione di "essere", è chiaro che matematicamente "essere in" un certo
insieme è del tutto equivalente ad "appartenere a" quel certo insieme.

Andiamo avanti. Per specificare cosa intendere con "il valore dell'
osservabile A", Omnès dice semplicemente che "A è formalmente un operatore
autoaggiunto" e che "i suoi valori sono i suoi autovalori". Bene, ora
sappiamo
cosa sono *i* valori di A, ma qual è *il* valore di A?

Questo Omnès non lo dice.

E d'altra parte è chiaro che il "significato
fisico" di quelle grandezze matematiche sta tutto in questo passaggio ad un
articolo determinativo singolare: fra tutti i valori di A ce n'è *uno*
particolare; e di questo particolare valore noi sappiamo che "è in" (=
appartiene a) l'insieme D.

Cos'ha di particolare *quel* certo autovalore di A, da poter essere preso
come "proprietà" di A?

A me verrebbe da dire, con Bohr: «E' quel valore che si ottiene quando la
proprietà associata ad A viene *osservata* con un dispositivo
macroscopico...» eccetera eccetera. Ma mi fermo qui perché so già che Omnès
non sarebbe d'accordo. Infatti in questo modo andiamo a finire di nuovo
nella "vecchia interpretazione".

Le altre possibilità ci forniscono solo delle banali tautologie. Potremmo
dire che fra tutti gli autovalori di A ce n'è uno che descrive lo "stato" in
cui si trova il sistema quantistico in un certo istante di tempo. Ma così
facendo ci troveremmo a dover definire lo "stato" di un sistema quantistico,
e come definirlo se non come l'insieme di tutte le sue "proprietà"? Dal che
se ne dedurrebbe la grande verità secondo cui «una proprietà di un sistema
fisico è un elemento dell'insieme di tutte le sue proprietà!» Ottimo,
ma -come dicevo- assolutamente tautologico.

Ebbene, io non sono stato in grado di trovare un altro passo di quel
ponderoso testo in cui Omnès spieghi il suo passaggio brusco e repentino da
*gli* autovalori di A a *quel certo* autovalore di A che dovrebbe definire
una "proprietà" (fisica) del sistema per il semplice fatto di essere "in D".

D'altra parte lo stesso Omnès, tentando di definire un po' più avanti uno
stato quantistico, è costretto ad uscire dal suo perfetto "isolamento", e lo
fa in maniera abbastanza contraddittoria da non far comprendere chiaramente
se lo strumento di misura è ancora in soffitta o è stato già rispolverato:
«the notion of state is basically probabilistic. It represents data allowing
the prediction of the probabilities for all the possible results of all
possible measurements. [...] We will say that the state of a system when one
can assign a definite probability to every conceivable property.»

Ho anche provato a sfogliare un po' di articoli degli altri protagonisti
della "nuova interpretazione" trovando addirittura una maggiore ingenuità
"filosofica" di quella mostrata da Omnès.

C'è qualcuno che ha le idee più chiare delle mie in proposito?

Grazie per l'attenzione e per le eventuali risposte.

Saluti,

Davide
Paolo Russo
22 anni fa
Permalink
Premessa: non ho letto Omnes, e con la filosofia in generale
(soprattutto quella classica) ho rapporti alquanto tesi; se
uno arriva a porsi seriamente il problema di come si possa
definire il verbo essere, per me e` gia` su una brutta
strada. :-)

[Davide Pioggia:]
...
Mi sembra che il problema piu' grave sia un altro, anche se
correlato: l'interpretazione di Copenhagen non riesce a
spiegare il comportamento dei dispositivi di misura
all'interno del formalismo della MQ (l'evoluzione temporale
e` lineare, quella dei dispositivi di misura per l'int. di C.
non lo e`). In sostanza l'int. di C. pone alla base della MQ
l'asserzione della sua non validita` in certi ambiti (pure
mal definiti), il che e` quantomeno... originale, diciamo,
specie considerando che per essere coerente la MQ, cosi'
com'e` formulata, richiederebbe di essere valida a qualunque
livello; si pensi ad esempio alla questione
dell'impossibilita` di localizzare una particella che passa
per due fenditure sfruttando il rinculo dello schermo, che si
basa pesantemente sull'assunto che anche per lo schermo valga
la MQ. Niente di male quindi se si prende l'int. di C. solo
come un punto di partenza, un abbozzo di interpretazione da
rifinire in un secondo momento, aspettandosi magari che la MQ
venga un giorno falsificata in opportuni ambiti
semi-macroscopici; se invece la si considera un punto fermo,
una visione coerente dell'universo (nel suo ambito), diventa
indifendibile.
Post by Davide Pioggia
[...]
Andiamo avanti. Per specificare cosa intendere con "il valore dell'
osservabile A", Omnès dice semplicemente che "A è formalmente un operatore
autoaggiunto" e che "i suoi valori sono i suoi autovalori". Bene, ora
sappiamo
cosa sono *i* valori di A, ma qual è *il* valore di A?
[...]
Questa domanda mi lascerebbe sconcertato se non avessi vaghi
ricordi di altri thread dove avevo avuto la vaga impressione
che Omnes avesse una visione tutta sua degli argomenti
trattati, impressione che a questo punto si rafforza.
Non esiste *un* valore di A. Esistono tutti.
Post by Davide Pioggia
E d'altra parte è chiaro che il "significato
fisico" di quelle grandezze matematiche sta tutto in questo passaggio ad un
articolo determinativo singolare: fra tutti i valori di A ce n'è *uno*
particolare; e di questo particolare valore noi sappiamo che "è in" (=
appartiene a) l'insieme D.
Questa e` l'interpretazione "storie coerenti con collasso",
che posso solo supporre sia stata inventata di sana pianta da
Omnes o Griffiths e che non va confusa con le "storie
coerenti" di Gell-Mann e compagnia, nella quale il passaggio
di cui parli sta tutto nella decoerenza tra le storie. In
ogni singola storia lo sperimentatore e` convinto che il
valore che ha osservato sia *il* valore... ma e` solo una sua
percezione, perche' non vede le altre storie, che pure
esistono.

Ciao
Paolo Russo
Davide Pioggia
22 anni fa
Permalink
Post by Paolo Russo
Premessa: non ho letto Omnes, e con la filosofia in generale
(soprattutto quella classica) ho rapporti alquanto tesi; se
uno arriva a porsi seriamente il problema di come si possa
definire il verbo essere, per me e` gia` su una brutta
strada. :-)
Beh, il povero Omnès insinua anche che non si può pretendere di mettersi a
discutere cosa significhi "to be", quindi come vedi cerca per lo meno di
salvarsi da quella brutta strada sulla quale lo vedi incamminarsi tu :-)
Post by Paolo Russo
Mi sembra che il problema piu' grave sia un altro, anche se
correlato: l'interpretazione di Copenhagen non riesce a
spiegare il comportamento dei dispositivi di misura
all'interno del formalismo della MQ (l'evoluzione temporale
e` lineare, quella dei dispositivi di misura per l'int. di C.
non lo e`).
Sono parzialmente d'accordo con questo.

Anche la meccanica classica applicata ai gas è perfettamente *reversibile*,
mentre ciò che "emerge" a livello macroscopico (dopo aver fatto i riassunti
statistici e le medie temporali delle grandezze meccaniche microscopiche)
presenta una dinamica *irreversibile*.

Non vorrei insistere troppo su questo punto perché ci porterebbe lontano, ma
sono abbastanza convinto che si possa usare la decoerenza all'interno della
interpretazione di C. per mostrare che la non linearità dei dispositivi
macroscopici "emerge" dalla linearità microscopica sottostante in modo
analogo a quanto avviene per la "emersione" della irreversibilità temporale.

Per intenderci, così come un qualunque gas (classico) di molecole soddisfa
il "teorema dell'eterno ritorno" di Poincaré e poi però non c'è pericolo di
vedere tutte le molecole della stanza uscire dal buco della serratura, allo
stesso modo a livello microscopico sono presenti tutti i termini non
diagonali dell'operatore di densità, ma poi a livello macroscopico (quello
dell'operatore di densità ridotto, per intenderci) gli elementi non
diagonali sono "quasi sempre" infinitamente piccoli.

Ma veniamo alle "storie", che è quel mi interessa maggiormente in questo
contesto.
Post by Paolo Russo
Questa e` l'interpretazione "storie coerenti con collasso",
che posso solo supporre sia stata inventata di sana pianta da
Omnes o Griffiths e che non va confusa con le "storie
coerenti" di Gell-Mann e compagnia, nella quale il passaggio
di cui parli sta tutto nella decoerenza tra le storie. In
ogni singola storia lo sperimentatore e` convinto che il
valore che ha osservato sia *il* valore... ma e` solo una sua
percezione, perche' non vede le altre storie, che pure
esistono.
Guarda, Omnès parla della "riduzione del pacchetto d'onda" (o "collasso")
come del Demonio in persona (se vuoi ti posso cercare dei passi abbastanza
significativi). Tuttavia cade poi in delle espressioni ambigue inaccettabili
come quella che ho segnalato io e che ha lasciato perplesso anche te.

Tu dici che per capire come stanno le cose dovrei leggermi direttamente i
lavori di Gell-Mann sulle "storie coerenti".

Ho cercato di farlo, ma purtroppo -come spiegavo nel mio primo post- ho
trovato solo rimandi su rimandi e alla fine non mi sono mai imbattuto in una
esposizione chiara e sistematica della cosa.

Se (come spero) hai voglia di dedicare un po' di tempo a spiegare la cosa a
me e ad altri, potremmo cominciare da qui:

1. Sia dato un *sistema* *fisico* *isolato*

2. A tale sistema associamo le seguenti grandezze matematiche: <quali?>

3. Il *significato fisico* di tali grandezze è il seguente: ...

O forse già questa impostazione è di per sé "sbagliata"? E perché?

Grazie per l'attenzione e per "lo sforzo" :-)

A presto,
Davide
Paolo Russo
22 anni fa
Permalink
[Davide Pioggia:]
[...]
E` raro che risponda rapidissimamente, tuttavia
normalmente avrei risposto prima, ma ho avuto qualche
contrattempo, tra cui un guasto al computer. Ora, prima
di inviare il post di risposta (dove, tra le altre cose, scrivevo
che non mi era molto chiaro cosa ti rendesse perplesso),
scarico le news e vedo che ci sono stati altri 19 messaggi
nel thread in questione. A questo punto congelo la risposta
e mi prendo il tempo di leggerli, sia per non dire cose gia`
dette, sia per capire meglio cosa intendevi.

Ciao
Paolo Russo
Paolo Russo
22 anni fa
Permalink
[Davide Pioggia:]
...
Non sono molto d'accordo e comunque il punto mi sembra
fondamentale. L'evoluzione lineare rimane lineare, a
prescindere dalla complessita` del sistema. A questo punto,
per far quadrare le cose, o includiamo nel sistema anche
l'osservatore (come fa la MWI) o aggiungiamo variabili
nascoste (o, in generale, neghiamo che la fdo rappresenti lo
stato del sistema), e in tutti questi casi mi sembra che non
siamo piu' nell'int. di C., sempre che intendiamo la stessa
cosa con questa denominazione (il che non e` detto, l'int. di
C. e` un mare magnum di sottointerpretazioni).
Post by Davide Pioggia
1. Sia dato un *sistema* *fisico* *isolato*
2. A tale sistema associamo le seguenti grandezze matematiche: <quali?>
3. Il *significato fisico* di tali grandezze è il seguente: ...
O forse già questa impostazione è di per sé "sbagliata"? E perché?
Non saprei dire se e` sbagliata, non mi pare, ma non sono
sicuro di capire dove vuoi andare a parare, pur avendo letto
i tuoi post. Azzardo un'ipotesi: stai prendendo in
considerazione una particolare reinterpretazione *puramente*
*probabilistica* delle storie coerenti, quella che avevo
definito "con collasso" e che sospettavo inventata da Omnes.
Effettivamente in questo caso c'e`, come minimo, un problema
di significato. La fdo avrebbe significato solo come mezzo
(astratto) per calcolare la probabilita` di osservare certi
valori delle osservabili, tuttavia questo "osservare"
finirebbe con il voler dire "portare il sistema totale
strumento+oggetto in un certo stato finale", dove pero`
questo stato finale, a sua volta, avrebbe solo il significato
di mezzo astratto per calcolare le probabilita` di misurare
certi valori per le osservabili del sistema totale, il che
pero` vorrebbe dire... eccetera. Finiremmo con una catena
infinita di probabilita` di ottenere altre probabilita`: il
concetto di "evento" non mi appare neppure definito in questo
contesto. Tra l'altro, mi sembra una visione alquanto
solipsista: se considero il sistema osservatore + strumento +
oggetto, tutto cio` che posso fare e` calcolare la
probabilita` che *io* veda l'osservatore come dotato di una
certa convinzione riguardo la misura che ha fatto, ma al
tempo stesso nego che esista qualcos'altro da sapere finche'
non parlo con lui; ad es. nego che abbia senso chiedersi
cos'abbia effettivamente misurato prima che io parli con lui,
perche' sarebbe una variabile nascosta (non prevista nella
mia interpretazione) oppure dovrei ammettere che la *sua*
stima della futura evoluzione del sistema dopo la misura
(equivalente a una fdo collassata) sia migliore della mia, e
che quindi sia accaduto qualcosa che ha fatto effettivamente
collassare la fdo, il che pure esula dalla mia int.. E
nonostante tutto questo solipsismo continuo a non avere,
sostanzialmente, un modello di me stesso (che un mio pensiero
*sia* la probabilita` che io ritenga qualcun altro ritenere
che io stia pensando una certa cosa, non mi convince troppo).

Quindi se e` questo il problema che vedi, ebbene sono
d'accordo che ci sia. Pero` il fatto e` che, in quella che
credo sia la versione originale delle storie coerenti
(sostanzialmente un altro nome e forse un approfondimento
della MWI di Everett e compagnia) la fdo e` sempicemente cio`
che esiste e il problema del significato non si pone.

Pero` ti avviso che sono pro-MWI e che non ho letto neanch'io
niente di prima mano sulle storie coerenti (dovro` decidermi
a farlo prima o poi).

Ciao
Paolo Russo
unit
22 anni fa
Permalink
Ho ceduto di interesse dopo una manciata di decine di righe, ma per
rispondere almeno a un argomento (ne hai tirati in ballo parecchi) vorrei
dire che la decoerenza è un modo per derivare un asserto che usualmente si
ritiene indipendente (l'assioma della misura) dagli altri assiomi. In ogni
caso, secondo un mio parere ancora pero' non ben formato e su cui vorrei
discutere, la faccenda non cambia sostanzialmente, nel senso che l'assioma
della misura è valido in ogni caso, che sia derivabile o meno dagli altri.
Quindi la decoerenza non aiuta in problemi di natura interpretativa, nel
senso che si spiega (spiegherebbe, non ne so ancora abbastanza)perchè la
matrice densità si diagonalizza, ma rimane il problema che alla fine ci si
ritrova con delle probabilità, anche se "classiche", in mano.

Ciao,

unit
Davide Pioggia
22 anni fa
Permalink
Ho ceduto di interesse dopo una manciata di decine di righe...
Sorry :-)
ma per
rispondere almeno a un argomento (ne hai tirati in ballo parecchi)
vorrei dire che la decoerenza è un modo per derivare un asserto che
usualmente si ritiene indipendente (l'assioma della misura) dagli
altri assiomi. In ogni caso, secondo un mio parere ancora pero' non
ben formato e su cui vorrei discutere, la faccenda non cambia
sostanzialmente, nel senso che l'assioma della misura è valido in
ogni caso, che sia derivabile o meno dagli altri.
Sì, anche io la penso così. Tant'è che a tarda notte (quando questo tuo post
purtroppo non era ancora apparso, altrimenti l'avrei citato) ho replicato a
Paolo facendogli osservare che, grazie alla decoerenza, la diagonalizzazione
dell'operatore densità diviene una proprietà "emergente" a livello
"macroscopico".

Fin qui mi sembra che siamo d'accordo.
Quindi la
decoerenza non aiuta in problemi di natura interpretativa, nel senso
che si spiega (spiegherebbe, non ne so ancora abbastanza)perchè la
matrice densità si diagonalizza,
Qui sono un po' meno d'accordo.

Nella interpretazione "classica" di Copenhagen -come osservava Paolo- la
diagonalizzazione viene "appiccicata" in modo "spurio". Infatti essa non
appare in alcun modo ricavabile dalla MQ, e anzi sembra in contraddizione
con alcuni aspetti della MQ.

(In modo analogo a prima vista verrebbe da dire che non c'è verso di
ricavare una legge macroscopica irreveresibile da leggi microscopiche
reversibili, e per di più c'è il "teorema dell'eterno ritorno" di Poincaré
che sembra proprio escludere definitivamente la compatibilità fra la
reversibilità microscopica e qualuqnue forma di irreveresibilità a qualunque
livello; ci è voluto il genio di Boltzman Gibbs ed altri, e soprattutto una
lunga riflessione sul significato di "corpo macroscopico" ed un bel po' di
teoremi per mostrare come l'irreversibilità macroscopica potesse essere
ricavata dalla irreversibilità microscopica.)
ma rimane il problema che alla fine
ci si ritrova con delle probabilità, anche se "classiche", in mano.
Guarda, su questo punto credo che tu debba forse rifletterci un po' meglio,
perché a me (ma anche a molti altri, direi) appare invece abbastanza chiaro
che una volta eliminate le "sovrapposizioni degli stati" il fatto che ci si
ritrovi con delle probabilità classiche in mano ci consente di dire che gli
"effetti quantistici" non sono più presenti.

Se tu lanci un dado dentro una scatola chiusa e aspetti che abbia finito di
rimbalzare, non potrai mai dire qual è il risultato del lancio senza andarlo
a vedere (aprendo la scatola, ad esempio), tuttavia saprai con certezza che
il dado si trova in un certo "stato finale", e (se il dado non è truccato),
dirai che ad ognuno dei risultati possibili è associata una probabilità 1/6.

E' la sovrapposizione degli stati (ovvero la presenza di elementi non
diagonali nella matrice densità) che ti permette di distinguere un sistema
"quantistico" da uno "classico", e quella che tu chiami "probabilità
classica" non è indice di "comportamento quantistico", ma può
tranquillamente essere collocata sotto la voce "ignoranza".
Ciao,
unit
Saluti anche a te, e grazie per gli spunti,
Davide
unit
22 anni fa
Permalink
...
Probabilmente mi sono spiegato male. Ovviamente gli effetti quantistici si
giocano sul fatto
che esistano elementi non diagonali. E da questo, diseguaglianze di Bell
alla mano,
direi che non se ne esce. Poi c'è un passaggio a probabilità classiche, ma
queste sono
dipendenti dalla situazione pre-misura e quindi si fanno carico degli
effetti quantistici. Quindi
indipendentemente da come si arrivi a queste probabilità classiche (per
magia o per decoerenza) ci si ritrova con degli effetti quantistici. Esempio
: l'esperimento delle due fenditure. Prendendo lo schermo come strumento di
misura ci si ritrova
alla fine con una distribuzione di probabilità "classica", ma questa è
dipendente dai fenomeni quantistici a monte che sono responsabili, ad
esempio, delle frange di interferenza nella distribuzione di probabilità.
"Come" si sia passati da una matrice densità non diagonale alla
distribuzione di probabilità non
cambia il succo della faccenda: ci sono delle frange di interferenza.
Arriverei a dire che, in questa situazione,
il contenuto fisico di un'eventuale giustificazione della diagonalizzazione
sia di poca utilità, nel senso che si giustifica matematicamente un asserto
che si usa in ogni caso normalmente, che sia assioma o no.

Ciao,

unit
Post by Davide Pioggia
Post by unit
Ciao,
unit
Saluti anche a te, e grazie per gli spunti,
Davide
Davide Pioggia
22 anni fa
Permalink
Post by unit
Poi c'è un passaggio a probabilità
classiche, ma queste sono dipendenti dalla situazione
pre-misura e quindi si fanno carico degli effetti quantistici.
Quindi
indipendentemente da come si arrivi a queste probabilità classiche
(per magia o per decoerenza) ci si ritrova con degli effetti
quantistici.
Mettiamola così:

Quando facciamo l'esperimento con un solo foro alla volta, la figura che
producono gli elettroni è una figura "a campana", centrata più o meno dietro
al foro.

Se poi facciamo l'esperimento con due fori, in modo tale da poter stabilire
da quale foro è passato l'elettrone, noi vediamo che la figura prodotta
dagli elettroni è la "sovrapposizione" delle due "campane".

Quindi abbiamo due belle "campane" e nessuna "interferenza".

Ora, noi oggi siamo convinti che la probabilità con cui l'elettrone colpisce
lo schermo del rivelatore sia espressa da <x,t|x,t>, dove |x,t> è una
funzione complessa soluzione della equazioni di Sch. eccetera eccetera.
Voglio dire che noi siamo convinti che *in ogni caso* sono "in azione" le
leggi della MQ. Da questo punto di vista dobbiamo dire che è vero che non
c'è "interferenza", tuttavia abbiamo ancora dei fenomeni "ondulatori",
perché quella "campana" che osserviamo nel caso dei singoli fori non è altro
che un fenomeno di "diffrazione" (lo spiega anche Elio Fabri, meglio di me,
in un suo post nel thread "diffrazione da elettroni").

Insomma, uno potrebbe dire che sempre di "meccanica ondulatoria" si tratta,
perché abbiamo due "diffrazioni", le quali -è vero- in questo caso non
producono interferenza, tuttavia sempre diffrazioni sono.

E va bene.

Supponiamo però di continuare a fare degli esperimenti e, per una
serie di circostanze sfortunate (o dovremmo dire fortunate? :-) ) di non
osservare mai una "interferenza" fra quelle due "campane". Potremmo aver
fatto i due fori troppo vicini, o avere una "figura" troppo sfocata, oppure
continuare a tenere "la luce accesa", oppure potremmo lasciare in prossimità
dei fori un circuito che risente del passaggio degli elettroni e che (anche
se non viene utilizzato e/o osservato) potrebbe consentirci di stabilire in
quale foro è passato l'elettrone, eccetera, eccetera, eccetera.

Ebbene, in quel caso non ci verrebbe mai in mente una cosa
così "strana" come il fatto che la nostra "campana" sia "in realtà" una
"figura di diffrazione". Preferiremmo restare nell'ambito del modello
"classico" ed affermare che: a) il fatto che gli elettroni non finiscano
tutti nello stesso punto (dietro il foro) è dovuto agli urti con i bordi del
foro, che li deviano; b) il fatto che non tutti gi elettroni vengano deviati
può essere attribuito ad alcune differenze microscopiche nello stato
iniziale, quello in cui vengono emessi. Come vedi tutto potrebbe restare
all'interno di un modello "classico" e la componente "aleatoria" potrebbe
essere attribuita alla "ignoranza di dettagli microscopici".

Possiamo anche supporre di venire a contatto con una civiltà che ha già (o
meglio: appena) scoperto la "quantizzazione della radiazione" (ovvero ha già
la nozione di "elettrone" e di "fotone") ma -per "sfortuna"- momentaneamente
ha osservato solo delle "campane" e mai delle "interferenze". Ecco, una
simile civiltà potrebbe continuare tranquillamente ad adottare un modello
"classico" della radiazione in perfetta sintonia con tutte le evidenze
sperimentali.

Certo, tu andresti là a dirgli: <<Quardate che la vostra fisica non è la
"vera" fisica, perché "in verità" quella "campana" che voi ritenete prodotta
da differenze microscopiche e urti con i bordi del foro è una "figura di
diffrazione", e la "vera" fisica è "ondulatoria".>>

Costoro potrebbero però avanzarti una marea di obiezioni, costringerti a
discutere "filosoficamente" il fatto che le cose stiano "veramente" in un
modo o nell'altro, accusarti di "misticismo" per la tua convinzione che
esista una "vera" fisica, eccetera.

Alla fine l'unica cosa che potresti fare è mettergli in piedi un
bell'esperimento in cui l'"interferenza" *si vede*, e poi chiedere loro come
fanno a spiegare quel che hanno appena visto nell'ambito del loro modello
concettuale.

Ne viene che se quel particolare effetto non fosse direttamente ed
empiricamente osservabile parlare di <<come stanno "veramente" le cose>>,
oppure dire che <<"in realtà" quella "campana" è una "figura di
diffrazione">> sarebbero tutte cose prive di senso.

Ebbene, noi sappiamo che (quasi) tutti i corpi macroscopici non presentano
mai dei fenomeni di interferenza, e quindi possono essere tranquillamente
trattati nell'ambito di un modello classico.

Se il fatto di "trattare classicamente" qualcosa che "in realtà" sappiamo
essere "sotto sotto quantistico" ti pone dei problemi, possiamo anche porre
la faccenda in altri termini, ad esempio così:

a) partire da una trattazione "quantistica" e poi mostrare che gli elementi
non diagonali della matrice di densità sono "quasi sempre" nulli (o meglio:
ai fini di una osservazione che duri un tempo finito producono un effetto
nullo)

oppure

b) trattare direttamente il sistema facendo uso della meccanica classica

ecco, fare l'una o l'altra di queste due cose ti cosentente di pervnire alle
stesse conclusioni *concrete* [*], ovvero che dopo un certo intervallo di
tempo c'è una certa probabilità di trovare lo stato del sistema in un
intorno di un certo stato, eccetera.

Chi avrà scelto la strada "classica" dirà che quella "probabilità" è dovuta
ad "ignoranza sui dettagli microscopici", mentre tu dirai che "in realtà" la
"vera fisica" del sistema è "quantistica", e che il fatto che le probabilità
si sommino in modo "classico" è dovuto alla "decoerenza" che rende
trascurabili gli elementi non diagonali, e che in ogni caso quelle
"probabilità classiche", come dici tu, <<si fanno carico degli effetti
quantistici>>.

Sembra quasi che tu parta dal presupposto che esista "il punto di vista di
Dio", e che si debba stare attenti a non usare i modelli "sbagliati".

Immagino però che tu sarai un po' stanco di tutti questi miei "filosofemi",
e quindi proverò a illustrarti il mio punto di vista anche sotto una
angolazione più "pragmatica".

Il punto è questo: quando noi ci mettiamo a fare esperimenti con la
"radiazione", usiamo gli strumenti di misura applicando ad essi la meccanica
classica. Proprio l'uso della meccanica classica ci consente poi di dedurre
che la "radiazione" è costituita da dei "gas di particelle", ed è sempre
l'applicazione della meccanica classica agli strumenti di misura che ci
consente poi di scoprire che queste dannate particelle producono degli
inspiegabili effetti di "interferenza".

Bene, a questo punto noi ci troviamo in una condizione un po' precaria,
perché se affermiamo che quella "interferenza" non è assolutamente
inquadrabile nel modello "classico" allora concludiamo che la meccanica
classica non è valida, quando è stata proprio la meccanica classica a farci
prendere coscienza del fatto che esiste l'interferenza! Siamo in una
sitazione simile a quella del "paradosso del mentitore": se la meccanica
classica è "vera" allora è "falsa", e se è "falsa" allora è "vera"!

Come se ne esce? Dobbiamo necessariamente provare a ragionare così:

1) usando la meccanica classica per gli strumenti di misura scopro che essa
non è valida per le particelle microscopiche;

2) se voglio che tutto ciò sia "autoconsistente" (scientificamente,
logicamente, filosoficamente, ecc.) bisogna che alla fine -qualunque sia
questa "nuova meccanica" che sto indagando- essa sia tale da poter
concludere che non avevo "sbagliato" ad applicare la meccanica classica ai
dispositivi di misura.

Però attenzione: quando dico <<non avevo "sbagiato" ad applicare la
meccanica classica ai dispositivi di misura>> non mi sto chiedendo se "dal
punto di vista di Dio" la meccanica classica sia "giusta". Mi sto
semplicemente chiedendo se le conclusioni *concrete* [*] a cui pervengo
applicando la meccanica classica ad uno strumento di misura siano le stesse
a cui potrei pervenire quando a quello strumento di misura applicassi la
"nuova meccanica".

Ad esempio: noi di fronte ad un evento che secondo la meccanica classica
può avvenire in diverse modalità fra loro esclusive, esaustive ed
indipendenti (= se tu concepisci una particella come oggetto puntiforme
sempre localizzato allora *o* è passata in un foro *o* è passata in un
altro) siamo indotti a pensare che le "probabilità" delle varie modalità si
sommano.

Ebbene, la "nuova meccanica" non rispetta questo principio, ma
allora noi abbiamo fatto bene ad applicarlo (fino a qui) agli strumenti di
misura???

Dove - lo ripeto allo sfinimento- quell'aver fatto "bene" non ha né
una valenza "etica" né "essenziale" (nel senso di "essenza delle cose") né
"sostanziale" (nel senso di "cosa c'è veramente sotto"), ma pone
semplicemente -come dicevo- un interrogativo di "autoconsistenza", del tipo:

Bene, ho ricavato la MQ applicando la MC ai dispositivi di misura, che
succede se ora vado a studiare il comportamento dei dispositivi di misura
usando la MQ, come è (indubbiamente) lecito fare?

Se la risposta a questa domanda ci fornisce un risultato *concretamente*
[*] compatibile allora siamo "salvi", altrimenti ci troviamo per davvero nel
pieno di un "paradosso del mentitore" e non sappiamo come venirne fuori.

E' chiaro che noi non possiamo pretendere che quella compatibilità sia,
oltre che numerica, anche "concettuale", perché la MQ e la MC sono
concettualmente diverse. L'hai sottolineato anche tu quando dicevi che pur
ottenendo per una matrice di densità (ridotta) solo degli elementi diagonali
in qualche modo quegli elementi diagonali <<si fanno carico>> della
"meccanica quantistica". Sì, certo, dico io: se ne fanno *sempre* "carico"
dal punto di vista concettuale perché se parlo di "probabilità" nell'ambito
della MQ le concepisco come effetti che sono "intrinsecamente
probabilistici", mentre nella MC la "probabilità", come dicevamo, è solo
"ignoranza dei dettagli microscopici", e posso continuare a pensarla così
fino a quando l'evidenza sperimentale mi consente di farlo.

Vedi allora che sul piano "concettuale" un dispositivo di misura non è la
"stessa cosa" (su questa espressione fra parentesi ci sono da tirar fuori
venticinque secoli di ontologia, ma lasciamo perdere...) se trattato con la
MQ e la MC, tuttavia noi possiamo fare in modo che "concretamente" il
"cerchio" si chiuda, e che tutto risulti autoconsistente.

Se poi pensi che esista una "realtà delle cose" (ovvero il "punto di vista
di Dio") possiamo metterla così:

"Sbagliando" abbiamo applicato la MC al dispositivo di misura, e su
quell'errore abbiamo costruito la MQ, che è la fisica "vera". Come ho fatto
a ricavare la fisica "vera" da quella "sbagliata"? Semplice: si vede che è
uno di quei numerosi casi in cui "sbagliando ci si prende". Posso dimostrare
che questo è uno di quei casi in cui "sbagliando ci si prende"? Sì, lo posso
dimostrare, perché gli effetti di decoerenza diagonalizzano la matrice
densità ridotta!

Questo -dicevo- è il punto di vista di Dio. Quando poi la fisica uscirà
dalla mistica medievale (a occhio fra tre-quattro secoli) ci si renderà
conto che non è necessaria alcuna "realtà vera" per fare della fisica, e che
basta -come dicevo- che i modelli della fisica siano "concettualmente
autoconsistenti", un po' come quella vecchia pellaccia del Barone di
Munchhausen, che sapeva sollevarsi afferrandosi per i lacci degli stivali.

Saluti,
Davide


[*] Qui e nel seguito al posto di "concreto" sarei stato tentato -per farmi
capire- di dire "numerico". Però la distinzione fra "qualità" e "quantità" è
in realtà molto ingenua, e si va parare nel solito discorso semplicistico
secondo il quale -alla fin fine- contano solo i "numeri". In realtà il
motivo per cui "contano solo i numeri" è che le grandezze della fisica sono
tutte grandezze definite in modo *operativo* (o grandezze derivate da
queste), sicché associare delle "proprietà" ad un sistema fisico alla fine
non si fa altro che "contare", ovvero ripetere un certo numero di volte una
certa "operazione". Usando l'aggettivo "concreto" ho appunto cercato di dire
esprimere il concetto di numerico-operativo.
unit
22 anni fa
Permalink
<SNIPPONE>

Fino al punto quotato in seguito sono pressochè d'accordo con te, ma mi
sfugge il punto che vuoi dimostrare. Ovviamente (beh, non tanto, ma...) se h
è troppo piccolo rispetto alle capacità sperimentali
di una ipotetica civiltà alcune questioni (come la diffrazione di elettroni)
rimangono inaccessibili e quindi (per
la civiltà in questione) è difficile (non impossibile) controllare
sperimentalmente le previsioni della mq. Ma non vedo cosa
c'entri con la decoerenza. Un'altro punto prima di entrare nel vivo:
potresti essere un po' piu' conciso? Leggere dieci pagine di roba sul mio
newsreader (che non è dei migliori) mi stanca indipendentemente dal
contenuto.
Post by Davide Pioggia
Se il fatto di "trattare classicamente" qualcosa che "in realtà" sappiamo
essere "sotto sotto quantistico" ti pone dei problemi, possiamo anche porre
a) partire da una trattazione "quantistica" e poi mostrare che gli elementi
ai fini di una osservazione che duri un tempo finito producono un effetto
nullo)
Evidentemente mi sono spiegato di nuovo male. Il fatto è che, utilizzando la
decoerenza o meno, la
matrice densità è diagonale *dopo* una misurazione, non *quasi sempre*. E
utilizzando la mq posso
ottenere matrici diagonali *diverse* dal caso classico. Un esempio su tutti:
la computazione quantistica. Alla fine della computazione ottengo un
risultato con una certa probabilità, ma la stessa distribuzione di
probabilità *non* avrei potuto ottenerla classicamente con le stesse risorse
(almeno per quello che se ne sa
adesso, magari NP=P =) ). Quindi quello che conta é *quale* distribuzione
di probabilità ottengo *alla fine*, dato che, appunto, con la mq gli
elementi non diagonali *non* sono "quasi sempre" nulli.
Post by Davide Pioggia
oppure
b) trattare direttamente il sistema facendo uso della meccanica classica
Niente da fare per le diseguaglianze di Bell, almeno cosi' mi dicono.
Post by Davide Pioggia
ecco, fare l'una o l'altra di queste due cose ti cosentente di pervnire alle
stesse conclusioni *concrete* [*], ovvero che dopo un certo intervallo di
tempo c'è una certa probabilità di trovare lo stato del sistema in un
intorno di un certo stato, eccetera.
No, come ti ho detto. Le due cose non sono equivalenti.
Post by Davide Pioggia
Chi avrà scelto la strada "classica" dirà che quella "probabilità" è dovuta
ad "ignoranza sui dettagli microscopici", mentre tu dirai che "in realtà" la
"vera fisica" del sistema è "quantistica", e che il fatto che le probabilità
si sommino in modo "classico" è dovuto alla "decoerenza" che rende
trascurabili gli elementi non diagonali, e che in ogni caso quelle
"probabilità classiche", come dici tu, <<si fanno carico degli effetti
quantistici>>.
Questa è un'altra faccenda ancora, ma come ti ho detto la strada classica
*non puo'* condurre
ai risultati sperimentali. E' un po' la differenza tra entanglement e
semplice accoppiamento statistico: la statistica finale è la stessa (in
tutti e due i casi le due particelle hanno la stessa orientazione di spin, e
sono su o giu' con probabilità un mezzo), ma con l'uno ci teletrasporti
l'informazione, con l'altro *no*.

Di seguito esponi delle tue considerazioni che sono in parte, secondo me,
confutate da quello che ti sto dicendo io, in ogni caso preferirei prima
concentrarmi su questi aspetti e poi eventualmente andare avanti.

Ti prego, piu' corto eh? Grazie.

Ciao,

unit
Davide Pioggia
22 anni fa
Permalink
Post by unit
Post by Davide Pioggia
a) partire da una trattazione "quantistica" e poi mostrare che gli
elementi non diagonali della matrice di densità sono "quasi sempre"
nulli (o meglio: ai fini di una osservazione che duri un tempo
finito producono un effetto nullo)
Evidentemente mi sono spiegato di nuovo male. Il fatto è che,
utilizzando la decoerenza o meno, la
matrice densità è diagonale *dopo* una misurazione, non *quasi
sempre*.
Allora direi che il "punto cruciale" sta proprio qui.

Tutta la faccenda della "riduzione del pacchetto d'onda" e altre simili
fantasie non fanno altro che metterci sulla strada sbagliata.

Noi sappiamo che un elettrone viene emesso in un certo punto all'istante t1
e poi raggiunge il rivelatore in un altro punto all'istante t2. Sappiamo
anche calcolare la probabilità di osservare questa coppia di eventi, grazie
alla equazione di Sch., e siccome tutto ciò che possiamo osservare sono
quanti che vengono emessi qui e assorbiti lì (e, ovviamente, contarli)
abbiamo tutto quello che ci serve per poter calcolare gli esiti di un
qualunque "conteggio".

C'è però una difficoltà "concettuale":

Noi applichiamo la MC al dispositivo di misura, e la MQ ai quanti, e
sappiamo che la MQ prevede delle "interferenze" fra eventi che classicamente
sarebbero mutuamente esclusivi. Siamo anche convinti che il dispositivo di
misura è "fatto di quanti", e come tale gli si dovrebbe poter applicare la
MQ. E' qui che il "cerchio logico" sembra non "chiudersi": perché quando
parliamo del dispositivo di misura non teniamo conto -come dovremmo- delle
"interferenze"?

Saremmo a posto se potessimo dimostrare che nel caso del dispositivo di
misura le "interferenze" sono "empiricamente irrilevanti". Dovremmo cioè
dimostrare che esse *in linea di principio* sono sì presenti (e non può
essere diversamente: anche il dispositivo è fatto di quanti), ma che
all'*atto pratico* non è possibile distinguere il "dispositivo quantistico"
da un sistema in cui le "interferenze" non ci sono (= un "dispositivo
classico" insomma).

Ti ricordi come hanno fatto Boltzman e gli altri a conciliare la
"reversibilità" della meccanica classica con la "irreversibilità" della
termodinamica? Il problema era questo: se la termodinamica è -in fondo- solo
"meccanica newtoniana statistica", come fa ad essere irreversibile quando la
meccanica newtoniana è sempre reversibile? Il problema lo si è risolto
dicendo che certe cose previste dalla meccanica newtoniana possono sì
succedere *in linea di principio*, ma *in pratica* non succedono "quasi
mai". Non solo, ma si dice anche il sistema è "quasi sempre" in uno dei
microstati che corrispondo al macrostato "più probabile" eccetera eccetera.
Poi c'è anche da dire che le misure mascroscopiche durano un tempo finito, e
quindi in realtà sono sempre delle medie temporali, sicché dire "quasi mai"
o "quasi sempre" ai fini della fisica macroscopica è come dire "mai" e
"sempre".

Ecco, adesso torniamo alla MQ.

Dovremmo cercare di dimostrare che un dispositivo macroscopico descritto con
la MQ è "empiricamente indistinguibile" da uno descritto con la MC.

Affinché questo sia vero -dicevo- basta che "le interferenze non si vedano".
Attenzione! Non c'è bisogno che il sistema macroscopico "collassi" (non
serve nessun "collasso", mai, neanche a livello microscopico!), basta solo
che gli elementi non diagonali "non si vedano".

Ma -forti della lezione appresa con il passaggio dalla meccanica alla
termodinamica- sappiamo come ottenere ciò: basta che gli elementi diagonali
(pur essendo il linea di principio sempre presenti) diano un contributo che
è "quasi sempre" nullo, o comunque in un intorno piccolo a piacere dello
zero.

E l'effetto della "decoerenza" funziona proprio così: se uno stato è la
sovrapposizione di due diversi stati "coerenti", allora le "interferenze"
fra questi due stati sono sensibilmente diverse da zero solo per un tempo
che è enormemente inferiore alla durata di qualunque operazione di misura.

Ti ripeto che una volta che gli elementi non-diagonali siano divenuti
"invisibili" non c'è stato nessun "collasso", solo che a questo punto le
"interferenze" sono svanite, e le probabilità si comportano in modo
"classico": quando due eventi sono mutuamente esclusivi e indipendenti le
probabilità si sommano.

Fino a quando non andrai a vedere la lancetta del dispositivo, dirai che il
la lancetta del dispositivo ha una certa probabilità di essere in un certo
intorno di "1", una certa probabilità di essere in un intorno di "2",
eccetera. Ma *non* dirai che essa è in uno "stato" in cui è simultaneamente
su "1" e su "2"! Questo perché gli elementi non diagonali non sono più
"visibili".

Tu dirai: <<Eh, ma ho ancora a che fare con delle "probabilità intrinseche",
e il dispositivo è ancora in uno "stato" indeterminato, ed è solo andando ad
osservarlo che io lo faccio "collassare" in un qualche "stato"!>>

Ed io qui ti dico che non è vero, che sei tu ad aver arbitrariamente
attribuito alle "ampiezze di probabilità" il ruolo di "stato quantistico",
che quella di Sch. è solo una equazione per calcolare la frequenza relativa
dei conteggi, e -attenzione!- che se le "interferenze" non sono più visibili
allora noi siamo *di fatto* in un quadro "classico", e possiamo
tranquillamente dire che si può applicare la MC, e che tutte le
"probabilità" che compaiono non sono "intrinseche" ma sono solo "ignoranza",
che il gatto (una volta eliminate le "interferenze") non è mezzo vivo e
mezzo morto, ma è sicuramente o vivo o morto, solo che per sapere se è vivo
o morto (a causa della nostra *ignoranza dei dettagli microscopici* di
quell'esperimento) siamo costretti ad aprire quella scatola, per vedere se è
vivo o se è morto. Allo stesso modo se lancio un dado in una scatola chiusa
e dico che ogni risultato ha probabilità 1/6 non sto dicendo che il dado non
è caduto su nessuna faccia o su tutte, ma dico solo che non so su che faccia
è caduto fino a quando non apro la scatola.

Questo è tutto.

<<Sono stato spiegato?>> :-)

Ciao,
Davide
Gianni Dondi
22 anni fa
Permalink
unit ha scritto:

[SNIP]

E' interessante notare che, nonostante i punti di vista tuoi e ben
descritti piu' sotto da Fabri, c'e' un'ampia comunita' di persone convinta
che la decoerenza sia la risposta definitiva al problema della misura. Uno
di questi e' P.W.Anderson ma puoi trovare un commento al suo punto di
vista nell'articolo di Adler

http://arxiv.org/abs/quant-ph/0112095

ed inoltre Zurek, nel suo articolo su RMP (Rev. Mod. Phys. 75, 715 (2003)
) si lamenta del fatto che, essendo la decoerenza un nuovo paradigma, ci
sono persone che non la considerano la risposta al problema.

Per quel che mi riguarda, a partire dall'esperimento di Haroche con stati
a gatto di Schroedinger del 1996 fino agli esperimenti di Wineland con le
trappole ioniche, appare come se il tutto sia riducibile ad effetti ben
comprensibili piuttosto che ad un ambiente il cui effetto non puo' essere
controllato ma deve essere "tracciato via".

Inoltre, in un articolo del 1991 di Gea-Banacloche (Phys. Rev. A 44, 5913)
sembra che il campo elettromagnetico possa generare effetti di decoerenza,
se non di vero e proprio collasso della funzione d'onda, interagendo con
la materia. Gea-Banacloche ha derivato gli stati asintotici a molti fotoni
per l'Hamiltoniana di Jaynes-Cummings e ha fatto vedere come si ottenesse
il limite classico quando il numero di fotoni cresce senza limiti. Questi
stati sono stati probabilmente osservati da Haroche ed altri recentemente
in esperimenti sul limite classico-quantistico in cavita' a RF.

La domanda e' allora:

La meccanica quantistica risolve da se' il problema della misura?
Ciao,
unit
Ciao,

Gianni
--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ***@newsland.it
Davide Pioggia
22 anni fa
Permalink
Post by Gianni Dondi
E' interessante notare che, nonostante i punti di vista tuoi e ben
descritti piu' sotto da Fabri, c'e' un'ampia comunita' di persone
convinta che la decoerenza sia la risposta definitiva al problema
della misura. Uno di questi e' P.W.Anderson ma puoi trovare un
commento al suo punto di vista nell'articolo di Adler
http://arxiv.org/abs/quant-ph/0112095
Il punto cruciale di quell'articolo direi che è questo:

<<Returning to the general formula of Eq. (3), the quantum measurement
problem consists in the observation that Eq. (3) is *not* what is observed
as the outcome of a measurement! What is seen is not the superposition of
Eq. (3), but rather *either* the unit normalized state [...] *or* the unit
normalized state [...].>>

Ora, tutto questo periodo, nel contesto del paradigma che si sta delineando,
non è né vero né falso, è semplicemente e completamente privo di senso.

E' come se uno volesse dimostrare l'inconsistenza della relatività ristretta
dicendo che dei due gemelli solo uno è in moto rispetto all'etere! Non
sapremmo cosa ripondere, perché costui mostrerebbe di non aver aver compreso
che è proprio il concetto di "etere" che viene messo in discussione.

Se tu parti dal presupposto che la fisica classica debba "emergere da sè", e
non essere "imposta" parlando di "collasso dello stato" e altre simili
fantasie, allora non ha senso dire che le "ampiezze" sono lo "stato" del
sistema. Perché se ragioni così poi quando osservi il sistema sei costretto
a dire che esso è "collassato".

Se io scrivo la funzione |x,t> affermo semplicemente che c'è il limite della
frequenza relativa con cui le particelle interagiscono con il rivelatore nel
punto x al tempo t, e questo limite è <x,t|x,t>. Stop. Non vado a dire la
funzione |x,t> è lo "stato" dell'elettrone al tempo t. [*]

Né tanto meno vado a dire che -come fa Adler- che |x,t> è "ciò che viene
osservato".

"Ciò che viene osservato" è un elettrone che interagisce con un rivelatore
posto nel punto x al tempo t. Poi dispongo di equazioni matematiche per
calcolare la frequenza relativa asintotica di quell'evento.

E per far "emergere" la meccanica classica devo dimostrare che in certi casi
le "interferenze" non sono più osservabili, nel senso che i risultati di
certe osservazioni possono essere calcolati senza tenere conto dei termini
di "interferenza" che compaiono nel conteggio delle "probabilità" (= limite
delle frequenze relative, lo ricordo perché altrimenti le "probabilità"
sembrano qualcosa di metafisico, e si arriva a parlare di fisica
"intrinsecamente probabilistica").

Invece Adler si mette a dire che <<ciò che viene osservato non è una
sovrapposizione [di stati], ma *o* lo stato [...] *o* lo "stato" [...].>>

E così Adler continua a pensare che un sistema quantistico si trova in una
"sovrapposizione di stati", e che quando esso viene osservato solo *uno*
degli stati che stavano in quella sovrapposizione viene osservato. Però
questo è come dire che quando avviene l'osservazione c'è un "collasso" su
uno solo degli stati bla bla bla.

Uno si dà da fare per dimostrare che non serve nessun "collasso", poi arriva
Adler che ipotizza (prima implicitamente e poi esplicitamente) che ci sia un
"collasso", e alla fine -sorpresa- si scopre che il "problema della misura"
non è ancora stato risolto.

Certo, è la cara vecchia fallacia della petitio principii, già nota al
vecchio Aristotele [Topicorum libri, VIII, 13, 162b] e mai abbastanza
vituperata.

Saluti,
Davide


[*] Abbiamo scoperto che questo elettrone quando non interagisce con un
dispositivo macroscopico non è localizzabile né nello spazio né nel tempo,
sappiamo che partecipa ad interazioni che in qualche modo sono non locali,
sappiamo che per farlo tornare "uguale a sé stesso" bisogna farlo ruotare
*due* volte, sappiamo insomma che lo "stato fisico" di un elettrone che non
fa parte di un oggetto macroscopico non è assolutamente descrivibile per
mezzo dei consueti concetti spazio-temporali. Ergo non sappiamo nulla delle
proprietà fisiche di questo elettrone, e se non sappiamo nulla delle suè
proprietà fisiche non sappiamo nulla nemmeno del suo stato. Sappiamo solo
calcolare la probabilità che interagisca con un oggetto macroscopico posto
in x al tempo t (per gli oggetti macroscopici è definita una posizione,
quindi x è una proprietà dell'oggetto con cui interagisce l'elettrone, non
una proprietà dell'elettrone), ma da qui a dire che |x,t> è lo "stato"
dell'elettrone che "collassa" quando esso interagisce con il rivelatore ce
ne passa. Così come non dico che un dado non osservato è in una
"sovrapposizione" degli stati "1", "2" eccetera, e che quando viene
osservato "collassa" in uno di questi stati.
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
Post by Davide Pioggia
[*] Abbiamo scoperto che questo elettrone quando non interagisce con un
dispositivo macroscopico non è localizzabile né nello spazio né nel tempo,
OK su questo posso essere d'accordo in linea di principio: lo
spaziotempo sembra essere uno concetto "macrosocpico" e si capisce
quando si studiano le correlazioni EPR.
Post by Davide Pioggia
sappiamo che partecipa ad interazioni che in qualche modo sono non locali,
dipende da cosa intendi per "interazioni", e' un termine troppo vago e
pericoloso in questo contesto.
Post by Davide Pioggia
sappiamo che per farlo tornare "uguale a sé stesso" bisogna farlo ruotare
*due* volte,
Non e' m ica vero. Mai sentito parlare di regole di superselezione? In
realta' basta una sola rotazione di 360 gradi, anche se la
rappersentazione del gruppo delle rotazioni e' polidroma per spin 1/2.
Quello che serve e' la rappresentazione proiettiva non quella unitaria,
attraverso la regola di superselezione che non permette di sommare stati
di spin con valore intero e semi intero, la fase che risulta quando fai
agire una rotazione di 360 gradi e' sempre una fase globale per cui non
la vedi mai (non provoca fenomeni d'interferenza)...
Post by Davide Pioggia
sappiamo insomma che lo "stato fisico" di un elettrone che non
fa parte di un oggetto macroscopico non è assolutamente descrivibile per
mezzo dei consueti concetti spazio-temporali.
Dipende da cosa tu intendi per stato, la mia impressione (che puo'
essere del tutto falsa e me ne scuso se e' cosi') e' che tu forse
ti sia fissato su una descrizione classica o similclassica: forse, in
fondo ti aspetti che l'elettrone sia un qualche tipo di pallina
descrivibile nello spazio e nel tempo e quindi la descrizione
quantistica e' incompleta e quello che si chiama stato quantistico non
e' dunque uno stato in quanto non contine l'informazione massimale sul
sistema.
Post by Davide Pioggia
Ergo non sappiamo nulla delle
proprietà fisiche di questo elettrone, e se non sappiamo nulla delle suè
proprietà fisiche non sappiamo nulla nemmeno del suo stato.
Anche qui e' questione di definizioni e/o preconcetti, secondo me
sappiamo tantissimo...anche se tutta la questione del collasso e'
enormemente oscura e probabilmente mal posta. La mia opinione e', da
rozzo fisico (matematico), che gli strumenti concettuali con cui
descrivere il mondo ce li suggerisce la stessa natura in un meccanismo
"dialettico" molto complicato. Per un po' di tempo le descrizioni
"geometriche" basate sull'idea di varieta' differenziabile (= spazio,
spaziotempo) sono andate bene, poi e' tutto finito (per sempre?).
Sembra che per quei sistemi che molto rozzamente li chimiamo
microscopici, non si riesca a dare piu' che una descrizione statistica,
molto problematica in certi aspetti, e credo che le risposte ad i
problemi sollevati verranno essenzialmente in seguito a qualche dato
sperimentale (che forse esiste gia' ma nessuno ne ha capito
l'importanza): sara' la natura stessa a darci, come e' sempre accaduto,
se avremo fortuna, qualche indizio su come venire fuori dai problemi di
confine della MQ (quelli legati all'osservazione ed al cosiddetto
collasso della funzione d'onda). Le descrizioni alternative come quella
di Bohm sono insufficienti a descrivere tutto quanto riesce a descrivere
la MQ ordinaria: non esiste alcuna versione della teoria di
Bohm che sia relativistica e che descriva il processo di creazione
e distruzione di particelle, al contrario di quello che fa la teoria
ortodossa che funziona perfettamente in queste cose, per cui non credo
che sia quella la strada...
Post by Davide Pioggia
Sappiamo solo
calcolare la probabilità che interagisca con un oggetto macroscopico posto
in x al tempo t (per gli oggetti macroscopici è definita una posizione,
quindi x è una proprietà dell'oggetto con cui interagisce l'elettrone, non
una proprietà dell'elettrone),
Non mi piace quel "solo". Sappiamo molto di piu'! Delle misure di
impulso cosa mi dici? Di quelle di energia? di quelle di spin?...
Quando conosciamo il cosiddetto "stato quantistico" sappiamo anche
calcolare le probabilita' di uscita delle misure di *tutte* le
osservabili, questo contenuto di informazione e' tutt'altro che banale
perche' per fissare lo stato non e' necessario (e nemmeno possibile)
conoscere tutti i valori delle misure di tutte le osservabili
sul sistema ad un dato istante, basta quella che si chiama
un'osservabile massima.
Post by Davide Pioggia
ma da qui a dire che |x,t> è lo "stato"
dell'elettrone che "collassa" quando esso interagisce con il rivelatore ce
ne passa.
Anche io ho grandi problemi a capire cosa succede quando avviene la
misura e l'idea del "collasso": mi pare solo dare un nome a qualcosa che
non si conosce e basta...

Ciao, Valter

------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Davide Pioggia
22 anni fa
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dipende....
Non e' m ica vero...
Ok Valter, so che su tutte le affermazioni che ho fatto in quella nota (e
non a caso le ho messe in una nota) ci sarebe di discutere dei mesi. Anche
la faccenda che l'elettrone debba "ruotare due volte su se stesso per
tornare ad essere se stesso" è ovviamente una delle solite metafore
(fuorvianti) per dire che che quei dannati semiinteri non si inquadrano in
alcun modo nel nostro consueto modello spazio-temporale.

Ho fatto insomma un elenco di affermazioni un po' azzardate, solo per dire
Post by Davide Pioggia
sappiamo insomma che lo "stato fisico" di un elettrone che non
fa parte di un oggetto macroscopico non è assolutamente descrivibile
per mezzo dei consueti concetti spazio-temporali.
Ma su questa affermazione tu assumi un atteggiamento che non mi è chiaro.
Perché un po' più su (replicando ad una mia affermazione che a me sembra
OK su questo posso essere d'accordo in linea di principio: lo
spaziotempo sembra essere uno concetto "macroscopico" e si capisce
quando si studiano le correlazioni EPR.
Poi però alla mia affermazione sulla nostra totale ignoranza dello "stato
Dipende da cosa tu intendi per stato, la mia impressione (che puo'
essere del tutto falsa e me ne scuso se e' cosi') e' che tu forse
ti sia fissato su una descrizione classica o similclassica: forse, in
fondo ti aspetti che l'elettrone sia un qualche tipo di pallina
descrivibile nello spazio e nel tempo e quindi la descrizione
quantistica e' incompleta e quello che si chiama stato quantistico non
e' dunque uno stato in quanto non contine l'informazione massimale sul
sistema.
E qui direi che ci sono un bel po' di cose da chiarire:

1)

Innanzi tutto anche io sono profondamente convinto che lo spazio ed il tempo
siano solo concetti che valgono solo per i sistemi macroscopici, così come
la temperatura è definita solo per un insieme costituito da un gran numero
di molecole, e non ha senso parlare di "temperatura di una molecola".

D'altra parte questo era già chiaro a Heinsenberg, che in una lettera a
Pauli scrive: <<Penso che i concetti spaziali e temporali siano privi di
significato se riferiti ad una *singola* particella, e che più particelle ci
sono, più questi concetti acquistano senso.>>


2)

Proprio perché ritengo che i concetti di spazio e di tempo siano definibili
solo per un sistema macroscopico (e non abbiano senso se riferiti ad una
singola particella), affermo che noi dello "stato fisico" di un quanto non
sappiamo nulla: non sappiamo (per ora? per sempre? boh!) costruirci nessun
modello mentale dello "stato" del quanto, e dobbiamo rinunciare ad usare per
esso tutti i concetti "cinematici".

In questo io sono assolutamente "radicale".

Ad esempio molti fisici dicono che quando l'elettrone viene assorbito in x
all'istante t esso "ha" la posizione t. Ma questo per me è un modo sbagliato
di esprimersi. Sarebbe come dire che siccome una molecola appartiene ad un
gas che ha una temperatura T, allora anche la molecola "ha" la temperatura
T, come se si potesse definire la temperatura della molecola. Ora, se
facciamo "a capirci" possiamo anche provare a nominare la "temperatura della
molecola", ma se poi ci troviamo di fronte a delle difficoltà concettuali
dobbiamo fare un passo indietro e stare attenti al modo in cui formuliamo le
nostre affermazioni.

Nel nostro caso non è vero che l'elettrone "ha" la posizione x al tempo t.
E' vero invece che l'elettrone interagisce con un oggetto "macroscopico" (un
filamento, una bolla, eccetera, tutti oggetti che per noi sono "puntiformi",
ma che -rispetto alle dimensioni quantistiche- sono "macroscopici") per il
quale è definita una posizione spazio-temporale, e per il quale -nella
fattispecie- possiamo dire che si trovava in x al tempo t.

Lo ripeto: se di una particella sappiamo che appartiene ad un corpo che si
trova a temperatura T, non diciamo che la particella "ha" la temperatura T,
perché non ha senso definire la "temperatura di una particella". Se
facessimo di queste affermazioni, arriveremmo a qualunque assurdità.
Supponiamo ad esempio che una particella lasci un corpo che si trova a
temperatura T0 per poi venire assorbita da uno di una serie di corpi
adiacenti, che si trovano a temperatura T1, T2, ... Tn. Se affermiamo che la
particella inizialmente "ha" la temperatura T0 e poi -quando viene assorbita
da uno dei corpi circostanti- la si trova in uno "stato" in cui essa "ha" la
temperatura Tk, (perché abbiamo scoperto che è andata a finire nel k-mo
corpo adiacente), allora saremmo indotti a cercare di capire quale
temperatura "ha" la particella mentre passa dal corpo che l'ha emessa a
quello che l'ha assorbita, e potremmo essere tentati di dire che durante il
"tragitto" la particella "ha tutte le temperature" T1, T2, ... Tk, dopodiché
nell'istante in cui viene assorbita da uno dei corpi quella sua
"sovrapposzione di temperature" "collassa" in una temperatura particolare!

Tutto ciò ci fa inorridire, ma quando diciamo che un elettrone "ha" a
posizione x0 al tempo t0 e poi "ha" posizione x1 al tempo t1 stiamo facendo
esattamente la stessa cosa: trasferendo ad una particella delle proprietà
che sono definibili solo al sistema macroscopico a cui essa appartiene.
Dovremmo dire invece che l'elettrone viene emesso da un corpo che si trova
in x0 al tempo t0, e viene assorbito da un corpo che si trova in x1 al tempo
t1. Basta così. Se ora noi ci mettiamo a pensare a quale sia stata la
"traiettoria" dell'elettrone per andare da un corpo macroscopico all'altro,
allora è come se ci chiedessimo qual era la posizione dell'elettrone in
tutti gli istanti compresi fra t0 e t1, e questo è come chiedersi qual è la
temperatura della particella nell'intervallo di tempo in cui ha lasciato il
corpo a temperatura T0 e non aveva ancora raggiunto il corpo a temperatura
T1.

L'elettrone *non* "ha" una posizione, mai. Né prima di essere emesso, né
dopo essere stato assorbito, né nell'intervallo di tempo in cui è già stato
emesso e non ancora assorbito.

E' ovvio poi che se si mettono in prossimità dei fori dei dispositivi per
rivelare il passaggio dell'elettrone le cose tornano ad avere un
comportamento "classico", perché i dispositivi che mettiamo dietro ad ogni
foro nel loro insieme sono macroscopici, e quindi essi "hanno" una posizione
spazio temporale, e allora sì che l'insieme degli eventi costituiti dal
"passaggio nel k-mo foro" costituisce un insieme di eventi che si escludono
a vicenda. Perché l'elettrone (che non "ha" una posizione) se messo in
condizione di interagire con un insieme di oggetti ognuno dei quali "ha" una
posizione, interagirà con uno solo di questi oggetti, e quindi sarà
osservato *o* nella posizione x1, *o* nella posizione x2, eccetera, il che
vuole dire che interagirà *o* col dispositivo posto in x1, *o* col
dispositivo posto in x2, eccetera.

3)

Dopo quanto da me affermato al precedente punto 2) (che mi sembrava
implicito in tutte le mie affermazioni circa la nostra ignoranza dello
"stato" di un quanto) dovrebbe essere chiaro che -come dicevo- da questo
punto di vista io sono assolutamente "radicale".
tu forse
ti sia fissato su una descrizione classica o similclassica: forse, in
fondo ti aspetti che l'elettrone sia un qualche tipo di pallina
descrivibile nello spazio e nel tempo
Vade retro! :-)


4)

Una possibile spiegazione di tutti questi nostri "malintesi", può forse
essere colta nel modo in cui completi il periodo da me quotato al precedente
e quindi la descrizione
quantistica e' incompleta e quello che si chiama stato quantistico non
e' dunque uno stato in quanto non contine l'informazione massimale sul
sistema.
Se ho ben capito tu aderisci alle argomentazioni di chi afferma che siccome
la MQ ci dice tutto quello che c'è da sapere e che può essere saputo sui
quanti allora questi "insiemi di informazione massima" sono a tutti gli
effetti "lo stato" dei quanti.

Ebbene, io ritengo che questo modo di ragionare abbia fatto dei danni
concettuali semplicemente devastanti.

Ci sarebbe prima di tutto da dire che il concetto di "stato fisico" non è un
concetto "naturale" che sta nella testa di tutti gli uomini fin dalla
nascita. E' il prodotto della tradizione filosofica occidentale, e se non lo
si usa nel modo appropriato è in grado di scatenare ogni sorta di
"assurdità".

So però che qui nominare la filosofia è maleducazione, e quindi proverò ad
argomentare in modo diverso (per quanto inevitabilmente approssimativo).

Ad esempio dovrebbe essere chiaro che il concetto di "stato" di un sistema
in qualche modo deve essere correlato a quello di "proprietà", che è poi una
qualche grandezza fisica (definibile operativamente) associabile a quel
sistema.

Ebbene, se io so che per una particella non è definibile una temperatura (=
una particella *non* "ha" una temperatura), non c'è assolutamente verso che
tu possa convincermi, semplicemente dimostrandomi che "sappiamo tutto quel
che c'è da sapere", a mettere la "temperatura" (o tanto meno delle
"sovrapposizioni di temperature" o altri simili "deliri") fra ciò che
definisce lo "stato" di quella particella. Potrò essere d'accordo con te che
quel che abbiamo messo assieme ci consente di praticare il <<vedo e
prevedo>> su tutto ciò che riguarda la particella, ma da qui ha dire che la
particella ha una temperatura, o che ne ha "molte", o che ne ha sì una ma
essa è "indeterminata" e che poi diventa "determinata" quando "collassa" e
via andare, ecco da lì ad arrivare qui ce ne passa un bel po'.

Anche perché questo è palesemente il frutto del desiderio dei fisici di
attribuire il ruolo di "teoria fondamentale" ad una costruzione che è solo
"mesoscopica".

Questo è un discorso che ci porterebbe molto lontano. Ma tanto per rendermi
un po' più comprensibile possiamo immaginare un gas descritto come insieme
di particelle microscopiche "classiche" aventi tutte delle proprietà
"meccaniche" e lo stesso gas descritto come un unico oggetto dal punto di
vista termodinamico e quindi macroscopico.

Ebbene, se resto al livello microscopico (ti ricordo che sto ipotizzando di
poter descrivere le particelle del gas dal punto di vista classico, e quindi
ora sto usando la MC come "teoria microscopica") avrò una teoria "pura", in
cui si fa uso solo di "proprietà" definite a livello microscopico (posizione
e velocità delle particelle, eccetera). Se poi mi pongo a livello
macroscopico avrò ancora una teoria "pura", nel senso che farò uso solo di
"proprietà" definibili a livello macroscopico (temperatura, pressione,
eccetera). E' vero che alcune proprietà sono definibili ad entrambi il
"livelli" (ad esempio la massa), tuttavia quando parlo di "teoria pura" mi
riferisco ad una teoria in cui non compaiano contemporaneamente delle
proprietà che sono definibili unicamente in un "livello" o nell'altro.

Consideriamo ora la trattazione del "moto browniano". Qui c'è una particella
che viene descritta con tutte le sue propreità "microscopiche", e poi però
il resto delle particelle (nel suo insieme) viene descritto facendo uso
delle proprietà "mascoropiche". Parliamo ad esempio di <<una particella
avente posizione x e velocità v immersa in un fluido posto a temperatura
T.>> Come vedi si è prodotta una sorta di "asimmetria": una delle particelle
"ha" la posizione, e tutte le altre (nel loro insieme) "hanno" una
temperatura. Questo tipo di descrizione non è né "microcospica" né
"macrorscopica", ma è -come si usa dire- "mesoscopica".

E -diciamolo subito- la descrizione "mesoscopica" è una grandissima
costruzione concettuale, tuttavia nasconde una serie di "insidie", come ad
esempio la tentazione di "trasferire" delle proprietà da un livello
all'altro in modo confuso, parlando appunto di "temperatura della
particella" eccetera.

Ebbene, la meccanica quantistica è una teoria di questo tipo: c'è un quanto
che viene descritto in parte per mezzo di "proprietà quantistiche" (carica,
spin, ecc.), ed in parte descrivendo le sue interazioni con un ambiente
che -per essendo "fatto di quanti" (così come il fluido in cui si trova la
particella browniana è fatto a sua volta di particelle)- viene descritto per
mezzo di "proprietà macroscopiche".

Tutto ciò sarà pure "il massimo che possiamo dire", ma se non pratichiamo
anche la "massima pulizia concettuale" poi andiamo ad infilarci in ogni
sorta di paradosso e assurdità.

Mi fermo qui (era ora! :-)) e mi scuso per la mia prolissità e logorrea.
Spero solo si voglia tener conto del fatto che su questi problemi si sono
scritti milioni di pagine (molte delle quali assolutamente fuorvianti) e non
è facile essere sintetici.

Saluti,
Davide
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
Davide Pioggia wrote:

Purtroppo non ho proprio tempo di leggere tutto quello che hai scritto,
ma mi pare che siamo piu' d'accordo di quanto sembrasse. Preciso solo
alcune cose. E scusami ancora per questo modo di fare ma ho pochissimo
tempo.
Post by Davide Pioggia
Innanzi tutto anche io sono profondamente convinto che lo spazio ed il tempo
siano solo concetti che valgono solo per i sistemi macroscopici, così come
la temperatura è definita solo per un insieme costituito da un gran numero
di molecole, e non ha senso parlare di "temperatura di una molecola".
Io non sono "profondamente convinto", ma credo che sia possibile che sia
cosi'.
Non ho alcun motivo per esserne completamente certo. Non solo: nel
momento in cui io ne fossi davvero certo sorgerebbe un grosso problema
che tu conosci bene: come e' possibile fondare una teoria la MQ,
usandone un suo (almeno presunto) "limite" (descrizione classica
spaziotemporale)?

Il fatto che io prenda in considerazione l'ipotesi che lo spaziotempo
sia un concetto classico deriva dall'analisi dei fenomeni EPR.
La descrizione spaziotemporale sembra avere senso solo "a posteriori":
e' il registro su cui "alla fine del tempo" si annotano gli eventi.
Post by Davide Pioggia
D'altra parte questo era già chiaro a Heinsenberg, che in una lettera a
Pauli scrive: <<Penso che i concetti spaziali e temporali siano privi di
significato se riferiti ad una *singola* particella, e che più particelle ci
sono, più questi concetti acquistano senso.>>
Non saprei, forse io la vedo diversamente: lo stesso discorso di sopra
si potrebbe probabilmente fare a livello classico (probabilmente Mach
avrtebbe pensato qualcosa di simile). Il punto cruciale sono le
correlazioni EPR che sono non locali, ai tempi di Heisenberg le
questioni su EPR non erano per niente chiare perche' non c'era nessuna
evidenza sperimentale Einstein avesse torto.
Post by Davide Pioggia
Proprio perché ritengo che i concetti di spazio e di tempo siano definibili
solo per un sistema macroscopico (e non abbiano senso se riferiti ad una
singola particella), affermo che noi dello "stato fisico" di un quanto non
sappiamo nulla: non sappiamo (per ora? per sempre? boh!) costruirci nessun
modello mentale dello "stato" del quanto, e dobbiamo rinunciare ad usare per
esso tutti i concetti "cinematici".
Io ho una immagine mentale di sistema quantistico che uso di continuo
quando mi occupo per ricerca di queste cose.
Anche le nozioni classiche basate sulle palline in spazi euclidei
sono la fine di un lunghissimo processo di astrazione basata
sull'esperienza e non sono per nulla naturali o innate separate dal
contesto dell'esperienza.
Lo vedo con mia figlia di 2 anni che sta costruendo
queste cose nella sua mente. Non e' affatto ovvio che fare il giro del
palazzo porti allo stesso posto per lei. Fino a 1.5 anni circa non si
allarmava quando le facevo sparire le cose sotto il naso. Ora invece si
allarma subito se qualcosa "non torna" quando segue con lo sgurado il
moto di una pallina.
Dopo un po' di tempo che lavori (facendo ricerca) nella MQ le cose non
sono piu' cosi' strane riguardo ai modelli mentali, la nostra mente e'
molto piu' flessibile di quanto si creda...



Non capisco bene invece, classicamente cosa significhi per te che una
palla di cannone abbia una posizione x al tempo t. Misembra che per te
la nozione classica di posizione sia piu' importante di quella
quantistica basata sull'interazione con lo strumento. Quando guardi una
palla di cannone
e contemporaneamente il tuo orologio che segna t stai ricevendo la luce
riflessa dalla palla e stai assumendo che il tempo segnato dal tuo
orologio sia lo stesso segnato da un orologio con la palla o qualcosa di
simile, non c'e' mai la palla da sola nello spazio euclideo al tempo t.
La nozione di posizione indipendente dall'osservazione ad un tempo
fissato (da cui la nozione di spazio euclideo ecc. ecc..ma anche la
nozione di stato classico) e' qualcosa di molto astratto costruito
dall'esperienza, e dalla riflessione sull'esperienza, che niente puo'
dirci avere senso se non la diretta esperienza. Nel momento in cui
l'esperienza mi dice che tale nozione non la posso piu' usare mi devo
inventare qualcosa d'altro. Questo puo' implicare una nuova definizione
di stato, ma anche di oggetto fisico. Che cio' sia problematico e'
chiarissimo e che i fisici abbiano fatto e facciano un po' di casino
quando cerchino di dare una veste logicamente
consistente di queste cose e' vero, in fondo non e' proprio il loro
(nostro)lavoro, anche se una riflessione su queste cose non fa mai male.
Ma non vedo perche' devo ritenere a priori che esista un'unica
concezione possibile di oggetto e di stato...

L'elettrone ha una posizione nel momento in cui interagisce con un
sistema macroscopico come uno schermo, una camera a bolle oppure una
camera a nebbia o altre cose. Questa non e' la "posizione" in senso
classico. Questa e' l'unica nozione che si lega a quella classica di
posizione che siamo riusciti ad inventare per dire qualcosa
sull'elettrone? Se sei capace di dire qualcosa di meglio accomodati, i
fisici non aspettano altro :-)
Post by Davide Pioggia
Se ho ben capito tu aderisci alle argomentazioni di chi afferma che siccome
la MQ ci dice tutto quello che c'è da sapere e che può essere saputo sui
quanti allora questi "insiemi di informazione massima" sono a tutti gli
effetti "lo stato" dei quanti.
Ma no, me ne guardo bene di dire una simile enormita', e come faccio io
a sapere che siamo arrivati alla fine della scienza per poter fare
affermazioni tanto grandi?

Ciao, Valter

------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Davide Pioggia
22 anni fa
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Post by Valter Moretti
Purtroppo non ho proprio tempo di leggere tutto quello che hai
scritto,
Don't worry (be happy! :-))
Post by Valter Moretti
ma mi pare che siamo piu' d'accordo di quanto sembrasse.
Sì, lo penso anche io.
Post by Valter Moretti
Post by Davide Pioggia
Innanzi tutto anche io sono profondamente convinto che lo spazio ed
il tempo siano solo concetti che valgono solo per i sistemi
macroscopici, così come la temperatura è definita solo per un
insieme costituito da un gran numero di molecole, e non ha senso
parlare di "temperatura di una molecola".
Io non sono "profondamente convinto", ma credo che sia possibile che
sia cosi'.
E' sicuramente così :-)

Le prove sono lì a disposizione di tutti, solo che molti non vogliono
<<guardare nel cannocchiale>>. E' un vecchio vizio di coloro che sono
metafisici aristotelici senza esserne consapevoli.
Post by Valter Moretti
Non solo: nel
momento in cui io ne fossi davvero certo sorgerebbe un grosso problema
che tu conosci bene: come e' possibile fondare una teoria la MQ,
usandone un suo (almeno presunto) "limite" (descrizione classica
spaziotemporale)?
A questa domanda c'è una risposta chiara. Ma è una risposta che (per ora)
non è traducibile in "algoritmi", e quindi per molti scienziati è
"invisibile".

So che non hai tempo e che io sono troppo prolisso, ma proverò ugualmente a
fornirti la risposta in una forma "empirica". Se poi non ti va di leggere
fai pure. Magari la leggerai più avanti, se e quando ne avrai voglia.


Supponi di voler porre i "fondamenti" della meccanica "classica", includendo
in essa anche il principio di relatività.

Dovresti cominciare a riempire lo spazio di osservatori, poi assegnare ad
ognuno una "posizione" e "sincronizzare" i loro orologi. Per poter definire
una "posizione" dovresti disporre di una definizione operativa di "distanza"
ed anche di "retta". Quanto alla sincronizzazione degli orologi, dovresti
disporre di una definizione operativa di "simultaneità".

Ora, essendo queste delle definizioni operative, tu -in linea di principio-
dovresti compiere delle "operazioni", usando certi "ingredienti". E in
questi "ingredienti" (ti ricordo che siamo ai "fondamenti" della meccanica,
e non disponiamo ancora di alcun principio) comparirebbe sicuramente l'uso
di "raggi di luce".

Diremmo una cosa del genere:

<<C'è una certa cosa che noi riconosciamo come "raggi di luce". Non sappiamo
che cosa sia la luce né quali principi regolino la sua emissione, la sua
propagazione ed il suo assorbimento, tuttavia noi usiamo la luce per
definire operativamente le seguenti grandezze:...>>

Bene, nell'istante in cui tu fornisci quelle definizioni operative, ti
accorgi che stai più o meno implicitamente affermando che la luce (qualunque
cosa sia) viaggia per tutti gli osservatori lungo delle linee "rette" alla
velocità "c".

Se hai voglia di fare un po' di esperimenti con la luce, ti accorgi subito
che questo non può essere sempre vero. Ad esempio potresti usare la luce per
"allineare" degli oggetti, poi però potresti inviare dei raggi di luce
attraverso quegli oggetti e osservare che in certi casi la luce non si
propaga in linea "retta" (quando poi abbiamo usato la propagazione della
luce in altre circostanze per "allineare" gli oggetti e dedurre che la luce
non si propaga sempre lungo una "linea retta"!). Ecco, se tu ti mettessi a
fare questi esperimenti capiresti subito che questa "luce" ha solo
approssimativamente le proprietà che tu le "imponi" per fondare la tua
teoria, sicché saresti costretto a ragionare così:

<<Per fondare la mia teoria fisica uso una pre-fisica "limite", una
pre-teoria che mi descrive un "pacchetto minimo" di proprietà della "luce".
So che almeno alcune di queste proprietà hanno una validità approssimativa
e -per così dire- "asintotica", tuttavia decido di partire proprio da questo
"asintoto" pre-teorico per fondare la mia teoria, e incrocio le dita
sperando che quando all'interno di questa teoria arriverò a definire "che
cosa è" la "luce" e quali sono le sue "proprietà", possa scoprire che "il
cerchio si chiude", e che quella pre-fisica che avevo utilizzato per fondare
la mia teoria risulti giustificata dalla teoria stessa!>>

Ripeto: io fondo la meccanica sul presupposto che la "luce", qualunque cosa
sia, si muova a velocità c per tutti gli osservatori. Quando poi -alla fine
della mia impresa- arriverò finalmente a scrivere le "equazioni della luce"
bisogna che quelle equazioni mi confermino che la luce si muove alla
velocità c per tutti gli osservatori, altrimenti sono rovinato!

Noi sappiamo che in passato molte di queste imprese non sono riuscite. E
ogni volta che "il cerchio non si chiude" scoppia quella "crisi" che porta
ad una "mutazione di paradigma", che è poi un ripartire da altri
"fondamenti". Se ad esempio noi per definire le grandezze fisiche fossimo
partiti da una pre-fisica in cui la luce si supponeva avere una velocità
infinita, trovando le equazioni di Maxwell dovremmo concludere che la nostra
teoria non è auto-consistente. E lo stesso se fossimo partiti dal
presupposto che la "luce" viaggia a velocità diversa per osservatori in moto
relativo. In tutti questi casi di fronte alle eqauzioni di Maxwell avremmo
dovuto dire: <<Cazzarola! Ho una teoria che non è auto-consistente: se è
"vera" è "falsa" e se è "falsa" è "vera"!>>

E sia chiaro che più che essere auto-consistente una teoria non può essere:
occorre sempre fornire un insieme di definizioni operative fondamentali
che -più o meno implicitamente- definiscono una pre-fisica su cui
"appoggiare" la teoria fisica che sto costruendo. E siccome ci troviamo a
far poggiare il tutto su questa pre-fisica (che presumibilemente è un
"limite" di quella che andremo a costruire, nel senso in cui lo intendi tu),
dobbiamo sperare che quando alla fine della nostra impresa arriveremo ad
affrontare quel "limite", si possa concludere che "avevamo fatto bene" ad
usare quel "limite" in quel certo modo.

E' per questo che parlavo del Barone di Munchhausen, perché la conoscenza
non può che essere una operazione di "bootstrapping".

Vedi allora che noi non ci dobbiamo preoccupare di fondare tutto su un
"limite", perché non si può *mai* fare meglio di così. Solo che nel caso
della MQ questa "chiusura del cerchio" è un po' più complessa, ed inoltre
richiede che si abbia di essa la massima consapevolezza, poiché si fa uso di
concetti poco comuni e il "senso comune" tende ad ogni passo ad infilarsi in
qualche vicolo cieco concettuale.

Ciao, grazie per la (eventuale) attenzione.

Davide
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
Ciao, grazie della lunga risposta che non mi convince del tutto...
Invece mi interessa di piu' quanto segue
...
Puoi esibirmi queste prove schiaccianti a disposizione di tutti?

Ciao, Valter

------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Bruno Cocciaro
22 anni fa
Permalink
...
Mi inserisco non certo per portare le "prove schiaccianti" ma per segnalare
che sul punto in questione mi pare risulti estremamente interessante lo
scritto di Einstein "Geometrie und Erfahrung", S.B. Preuss. Akad. Wiss. 5,
1-8 (1921), traduzione italiana "Geometria ed esperienza" in
http://matsci.unipv.it/persons/antoci/re/Einstein21.pdf.
Ne riposto alcuni passi:
"I corpi rigidi si comportano rispetto alle loro possibilita' di
posizionamento come corpi della geometria euclidea in tre dimensioni: quindi
le leggi della geometria euclidea contengono affermazioni sul comportamento
dei corpi rigidi della pratica. La geometria cosi' completata e'
evidentemente una scienza naturale; la possiamo a buon diritto considerare
la piu' antica branca della fisica. Le sue affermazioni si fondano
essenzialmente sull'induzione dall'esperienza, e non solamente su scelte
logiche."
...
"La domanda, se la geometria pratica del mondo sia euclidea o meno, ha un
significato preciso, e la sua risposta va ottenuta mediante l'esperienza."
...
"Alla concezione qui descritta della geometria attribuisco un significato
particolare, perche' senza di essa non sarebbe possibile fondare la teoria
della relativita'."
...
[Salto gli interessanti passi di Einstein sulla critica che Poicare' fa a
tale concezione]
...
"E' chiaro anche che i corpi rigidi e l'orologio non giocano nell'edificio
concettuale della fisica il ruolo di elementi irriducibili, ma solo il ruolo
di immagini composte, che nella costruzione della fisica teorica non possono
giocare alcun ruolo indipendente. E' tuttavia mio convincimento che questi
elementi concettuali allo stadio attuale di sviluppo della fisica teorica
possono essere introdotti solo come concetti indipendenti; siamo infatti
troppo lontani da una conoscenza dei fondamenti teorici della fisica
atomica, da poter dare costruzioni teoriche esatte di quelle immagini."
...
"Le leggi della geometria riemanniana saranno valide quando le leggi delle
posizioni di un corpo rigido della pratica tanto piu' esattamente
coincideranno con quelle dei corpi della geometria euclidea, quanto piu'
piccole siano le dimensioni della regione spazio-temporale considerata. L'
interpretazione fisica della geometria qui trattata non consente un'
applicazione immediata a spazi dell'ordine di grandezza submolecolare. Una
parte del suo significato si conserva tuttavia anche rispetto alle domande
sulla costituzione delle particelle elementari. Si puo' cercare allora quali
delle idee di campo, che sono state definite fisicamente per la descrizione
del comportamento geometrico di corpi grandi rispetto alla molecola, abbiano
ancora significato fisico quando si tratta di descrivere le particelle
elementari elettriche che costituiscono la materia. Solo il risultato potra'
decidere la correttezza del tentativo di attribuire alle idee fondamentali
della geometria riemanniana una realta' fisica al di la' del loro dominio di
definizione fisico. Forse si potra' mostrare che questa estrapolazione e'
altrettanto poco appropriata quanto l'idea di temperatura per parti di un
corpo di dimensioni molecolari."

Cioe', se ben interpreto il pensiero di Einstein:
anche solo per poter parlare di spazio e di tempo (per costruire una
geometria) abbiamo bisogno dei corpi rigidi (e degli orologi); allo stato
attuale dello sviluppo della fisica atomica non siamo in grado di dire cosa
sia un corpo rigido (dobbiamo trattarlo come "elemento irriducibile" anche
se e' chiaro che corpi rigidi (e orologi) sono "immagini composte"). Essendo
la geometria una disciplina fisica, cioe' "pratica", essendo cioe' il
concetto di spazio ricondotto al concetto di corpo rigido, allora la
geometria non si puo' applicare su scale microscopiche dove non e' affatto
detto che la definizione di corpo rigido potra' essere estesa (una volta che
tale definizione verra' trovata, cioe' una volta che le conoscenze di fisica
atomica ci permettaranno di dare una descrizione teoricamente soddisfacente
della "immagine composta" che, per il momento, siamo costretti a trattare
come "elemento irriducibile"). Puo' darsi che, cosi' come e' successo al
concetto di temperatura, anche il concetto di spazio (e tempo) si rivelera'
poco appropriato per gli enti della fisica microscopica.
A me pare che il "puo' darsi che" potrebbe sostituirsi con un "e' altamente
probabile che sia, in quanto non abbiamo alcun motivo per credere che". Per
la legge di Hook, una volta osservata sperimentalmente la sua validita' in
un certo ambito, non diciamo che "puo' darsi" che applicando alla molla una
forza di 10^10 Newton non si abbia un allungamento di 10^10 metri, diciamo
"e' altamente improbabile, o almeno, non abbiamo nessun motivo per
crederlo".
Post by Valter Moretti
Ciao, Valter
Ciao.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
Valter Moretti
22 anni fa
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...
Ciao.
E'vero che i concetti di spazio e tempo nascono come proprieta' dei
corpi rigidi e degli orologi ideali, ma e' chiaro che non si puo'
assumere un punto di vista cosi' riduttivo dal pensare che
lo spazio ed il tempo non abbiano senso quando non si puo'costruire
materialmente un corpo rigido o un orologio. Si parla benissimo di
distanze interatomiche anche se non ci sono righelli di quelle
dimensioni. E'chiaro che e' necessario per fare cio' un'estensione
operativa del concetto di distanza spaziale e temporale che faccia uso
di altri strumenti che non siano il metro e l'orologio...
tutto questo e' ben noto e c'e' un bel libro di Toraldo Di Francia e
dalla Chiara che si intitola "le teorie fisiche" (Boringhieri) dove si
occupano del problema sollevato e di molto altro...

Io mi riferivo invece ad altre cose un po' diverse ed un po' piu'
specifiche.
In particolare a questioni connesse al cosiddetto processo di collasso
della funzione d'onda. Quando si considerano sistemi a piu' di un
costituente, quello che accade nei processi di misura, sembra che non
possa essere descritto in maniera chiara e completa nello spaziotempo
e che lo spaziotempo, gli eventi, siano enti essenzialmente macroscopici
ottenuti "dopo" il "collasso della funzione d'onda" ...


Ciao, Valter
--
------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Bruno Cocciaro
22 anni fa
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Post by Valter Moretti
Ciao.
E'vero che i concetti di spazio e tempo nascono come proprieta' dei
corpi rigidi e degli orologi ideali, ma e' chiaro che non si puo'
assumere un punto di vista cosi' riduttivo dal pensare che
lo spazio ed il tempo non abbiano senso quando non si puo'costruire
materialmente un corpo rigido o un orologio.
Beh, io piu' che "cosi' riduttivo" direi "cosi' operativo", pero', queste
sono questioni di gusto. Tempo fa con Elio capito' di toccare questo tema e
lui mi disse, se ricordo bene, che nemmeno Bridgman sarebbe stato d'accordo
con un punto di vista cosi' "ortodosso". All'epoca pero' non conoscevo il
passo di Einstein di cui ho riportato alcuni pezzi nel post precedente,
quindi non obiettai che a me sembrava pero' che, se non Bridgman, certamente
Einstein lo sosteneva quel punto di vista. La domanda che mi pongo quindi
e':
"E' forzata la mia interpretazione del pezzo di Einstein?"
A me pare che Einstein dica chiaramente di sostenere il punto di vista che
tu definisci "cosi' riduttivo", dica cioe' chiaramente che finche' non si
dara' una definizione di corpo rigido e di orologio non potremo essere certi
del fatto che i concetti della geometria si possano applicare agli enti del
mondo microscopico.
Detto questo, poiche' il principio di autorita' non vale, il fatto che
Einstein sostenga o meno il punto di vista "riduttivo" puo' avere un
interesse principalmente storico, certo non determinante. Dal mio punto
di vista mi interesserebbe capire se la mia interpretazione delle sue parole
appare forzata o meno.
Post by Valter Moretti
Si parla benissimo di
distanze interatomiche anche se non ci sono righelli di quelle
dimensioni. E'chiaro che e' necessario per fare cio' un'estensione
operativa del concetto di distanza spaziale e temporale che faccia uso
di altri strumenti che non siano il metro e l'orologio...
Ok, pero' ...
se non sapessimo cosa "e' " un termometro, e costruissimo la termodinamica
facendo uso del termometro come "elemento irriducibile". Assumeremo cioe' un
punto di vista operativo "soft", diremmo "Ok, non lo sappiamo quale e' la
fisica che regola i termometri, pero' sappiamo che essi esistono, sappiamo
come si usano, cosa misurano e l'ente che essi misurano, la temperatura,
entra in leggi della fisica le quali, nel loro insieme costituiscono una
scienza, la termodinamica, che permette di fare predizioni ed e' quindi a
buon diritto chiamata scienza".
Poi potremmo eseguire, usando parole il piu' possibile simili alle tue, una
"estensione operativa del concetto di temperatura che faccia uso di altri
strumenti che non siano i termometri" (sarebbe proprio tale estensione a mio
avviso a rendere "soft" il punto di vista operativo, secondo il punto di
vista "hard" si dovrebbe dire "finche' non sappiamo cosa e' un termometro,
o, almeno, finche' non troviamo una gamma di oggetti "a meta' strada" per i
quali la temperatura si puo' misurare sia con i termometri macroscopici, sia
con i "nuovi strumenti" che usiamo nel mondo microscopico, e non
verifichiamo che essi, termometri e nuovi strumenti, concordano nelle
misure, non possiamo essere certi del fatto che termometri e nuovi strumenti
misurino lo stesso ente") e grazie a tale estensione potremmo parlare di
temperatura anche su scale microscopiche laddove non ci sono termometri.
Potremmo magari cosi' costruire una nuova scienza del microscopico,
costruiremmo dei modelli, delle equazioni, e nelle equazioni comparirebbe
ogni tanto quell'ente che noi chiameremmo temperatura. Poi, la nuova
disciplina del microscopico, avrebbe il carattere di scienza, avrebbe cioe'
potere predittivo, cioe' sarebbe in grado di prevedere il risultato di
misure, cioe' sarebbe in grado di prevedere, ad esempio, cosa misurera', in
certe condizioni, un termometro macroscopico.
Grazie a cio' noi daremmo "credito" alla nuova scienza e saremmo cosi'
portati a pensare che il concetto di temperatura, esteso al mondo
microscopico, abbia diritto di cittadinanza in quanto quell'ente, la
temperatura riferita ad un ente microscopico, compariva nelle equazioni
della teoria che hanno predetto correttamente il risultato degli
esperimenti.
A me pare pero' che non dovremmo mai dimenticare che *direttamente* abbiamo
eseguito misure solo con oggetti macroscopici, ad esempio abbiamo usato
nelle nostre misure i termometri macroscopici, mentre invece le temperature
degli enti microscopici non sono mai state misurate direttamente.
Come per gli epicicli tolemaici siamo portati a dare loro diritto di
cittadinanza finche' essi permettono previsioni corrette, non dobbiamo pero'
dimenticare che direttamente misuriamo solamente la posizione dei pianeti
sulla volta celeste. Certo, finche' le previsioni sono corrette gli epicicli
vanno benissimo.
Se pero' un giorno dovessimo finalmente "capire" cosa "e' " un termometro,
cioe' se riuscissimo a capire la fisica che regola il funzionamento del
termometro allora questo avrebbe un effetto dirompente sulla disciplina del
microscopico che avevamo costruito facendo uso della "estensione operativa
del concetto di temperatura"; saremmo in grado di dire se la estensione
suddetta e' logicamente fondata o meno, saremmo in grado di dire se ha senso
parlare di temperatura di un ente microscopico o no, cioe' se essa deve fare
la fine degli epicicli tolemaici o meno (in quanto gli epicicli li butto via
si' perche' trovo una nuova teoria che e' piu' potente dal punto di vista
predittivo, ma li butterei via ugualmente avendo una nuova teoria che, anche
a parita' di potere predittivo, facesse uso del minor numero possibile di
enti, come gli epicicli, ai quali non riesco a far corrispondere alcunche'
di direttamente misurabile, di conseguenza tratterei questi enti come pure
invenzioni della mia mente non corrispondenti ad alcunche' nella realta' (e
toglierei loro il diritto di cittadinza nelle teorie fisiche)).
E' per questo che a me pare di importanza fondamentale rispondere alla
domanda "Cosa e' un corpo rigido?". Una volta risposto mi pare che si
potrebbe capire se concetti come la distanza interatomica devono fare la
fine degli epicicli o no.
Post by Valter Moretti
tutto questo e' ben noto e c'e' un bel libro di Toraldo Di Francia e
dalla Chiara che si intitola "le teorie fisiche" (Boringhieri) dove si
occupano del problema sollevato e di molto altro...
Io mi riferivo invece ad altre cose un po' diverse ed un po' piu'
specifiche.
Ti ringrazio del riferimento e mi scuso se sono andato fuori tema. Purtroppo
mi capita spesso quando si parla di questioni riguardanti la meccanica
quantistica (non per mia volonta', ma proprio perche' non capisco il tema).
Post by Valter Moretti
Ciao, Valter
Ciao
--
Bruno Cocciaro
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Davide Pioggia
22 anni fa
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Post by Bruno Cocciaro
Beh, io piu' che "cosi' riduttivo" direi "cosi' operativo", pero',
queste sono questioni di gusto. Tempo fa con Elio capito' di toccare
questo tema e lui mi disse, se ricordo bene, che nemmeno Bridgman
sarebbe stato d'accordo con un punto di vista cosi' "ortodosso".
Beh, si legge spesso che Marx non era "marxista", Freud non era "freudiano",
Nietzsche non era "nicciano" eccetera. E forse chi lo scrive non ha tutti i
torti.

Ma nel caso di Bridgman mi pare difficile sostenere che egli non fosse...
"bridgmaniano ortodosso" :-)

Prendiamo ad esempio questo passo dal I Capitolo di "The Logic of Modern
Physics"

<<In general, we mean by *any* concept *nothing more* than a set of
operations; the *concept* is *synonymous* with a corresponding set of
*operations*. If the concept is *physical*, as of length, the operations are
actual *physical* *operations*, namely, those by which length is measured;
or if the concept is *mental*, as of mathematical continuity, the operations
are *mental* *operations*, namely those by which we determine whether a
given aggregate of magnitudes is continuous. It is not intended to imply
that there is a hard and fast division between physical and mental concepts,
or that one kind of concept does not always contain an element of the other;
this classification of concept is not important for our future
considerations.>>

<<We *must* demand that the set of operations equivalent to any concept be a
*unique* set, for otherwise there are possibilities of ambiguity in
practical applications which we *cannot* admit.>>

Ho messo un po' di asterischi (= neretto) dove mi sembra che il Nostro lasci
poco spazio alle "divagazioni".

Scusate se mi sono intromesso nella vostra chiacchierata.

Saluti,
Davide
Elio Fabri
22 anni fa
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Post by Bruno Cocciaro
Beh, io piu' che "cosi' riduttivo" direi "cosi' operativo", pero',
queste sono questioni di gusto. Tempo fa con Elio capito' di toccare
questo tema e lui mi disse, se ricordo bene, che nemmeno Bridgman
sarebbe stato d'accordo con un punto di vista cosi' "ortodosso".
Non ricordo, ma e' plausibile.
Ti avro' detto che lo stesso Bridgman la pensava piu o meno cosi':
molti (non tutti) i concetti fisici hanno base operativa, ma questa
base varia a seconda dell'ambito sperimentale, per es. cambiando la
scala dimensionale delle osservazioni.
Mi pare che facesse proprio l'esempio delle misure di distanza, che
cambiano completamente base operativa dalla scala umana a quella
astronomica e cosmologica da un lato, a quella microsocpica e delle
particelle dal'altro.
Bridgman faceva poi posto ai "costrutti teorici": concetti senza base
operativa diretta, ma che si collegano alle osservazioni solo attraverso
il complesso di una teoria (questa e' anche la metafora della rete di
Hempel).
Sempre se ricordo bene, come esempi di costrutti Bridgman cita l'atomo
e il campo elettrico. Ma ovviamente l'elenco e' sterminato...
------------------------------
Elio Fabri
Dip. di Fisica - Univ. di Pisa
------------------------------
Davide Pioggia
22 anni fa
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Post by Valter Moretti
Post by Davide Pioggia
Post by Valter Moretti
Io non sono "profondamente convinto", ma credo che sia possibile che
sia cosi'.
E' sicuramente così :-)
Le prove sono lì a disposizione di tutti, solo che molti non vogliono
<<guardare nel cannocchiale>>. E' un vecchio vizio di coloro che sono
metafisici aristotelici senza esserne consapevoli.
Puoi esibirmi queste prove schiaccianti a disposizione di tutti?
Innanzi tutto vorrei scusarmi, perché rileggendo quella mia frase nella tua
"citazione" mi sono accorto di essere stato molto (troppo) arrogante,
soprattutto se si tiene conto del tuo atteggiamento di "apertura", che
arrogante non lo era affatto.

Se mi permetti di restare per un poco nell'ambito delle considerazioni
"psicologiche" e "personali" vorrei tuttavia avanzare come possibile
attenuante alcuni malintesi che si producono spesso nel dialogo fra le
diverse "culture".

Io penso che per far progredire la fisica occorrano prima di tutto delle
"menti fresche" (non è solo una questione anagrafica - ma spesso sì),
in grado di sviluppare "potenza algoritmica", capaci -insomma- di trovare le
"equazioni giuste". Una volta che si disponga delle equazioni di
Schroedinger e di Dirac la metà della MQ è fatta, e poi i "filosofi" (o gli
aspiranti tali) stiano pure lì a discutere quanto vogliono sul "significato"
di quelle equazioni, ché intanto ce le abbiamo e le sappiamo usare.

Vero, verissimo. Tuttavia sappiamo anche che spesso proprio chi è stato
capace di trovare le "equazioni giuste" dimostra una capacità di "pulizia
concettuale" stranamente limitata, come se il fatto di essere troppo
"consapevoli" fosse di intralcio alla creatività. Pensa ad esempio alla
"confusione" (è un eufemismo) che si trova nei testi di Schroedinger quando
cerca di spiegare l'equazione di... Schroedinger! E quelle strane "allegorie
meccaniche" che Maxwell ha usato per ricavare le equazioni di... Maxwell? E
il fatto che Lorentz non abbia mai capito le trasformazioni di... Lorentz?
Come dicevo sembra quasi che la "consapevolezza" sia di intralcio alla
"creatività". L'unico fisico -fra tutti quelli che ho letto- che ha sempre
mostrato una enorme creatività unita alla massima consapevolezza concettuale
è Poincaré, ma come lui ce ne sonoi pochi, e poi non sempre -secondo me- è
sufficientemente apprezzato.

D'altra parte questo si riscontra un po' in tutte le attività umane. Di
solito il "critico d'arte" non è creativo, e coloro che hanno portato delle
grandi innovazioni nelle arti spesso non avevano una formazione accademica
"rigorosa".

Questo può spingere alcuni scienziati ad assumere un atteggiamento di questo
tipo: <<L'importante è trovare le equauzioni giuste e saperle usare bene, e
coloro che si metto a "filosofeggiare" sul "significato" di quelle
equazioni sono come quei critici d'arte un po' frustrati, che non sapendo
produrre nulla se ne stanno là a pretendere di spiegare all'autore qual è il
senso della sua opera!>> (C'è un bellissimo raccontino di Asimov in cui uno
scienziato inventa una macchina del tempo, trasferisce Shakespeare ai tempi
nostri, lo fa iscrivere ad un corso di letteratura inglese tenuto da un
insegnante piuttosto ottuso ed arrogante e alla fine questo lo boccia!)

Lo vedo anche nel mio settore (io mi guadagno la pagnotta occupandomi di
amministrazione aziendale e marketing), in cui coloro che escono da fior di
università dove si studiano tutti i risvolti spicologici del marketing
spesso non hanno nemmeno la minima parte dell'"intuito di mercato" che hanno
certi vecchi imprenditori, quelli che "si sono fatti dal nulla", e che a
volte sono talmente "involuti" da non riuscire nemmeno a mettere insieme una
sintassi decente.

Insomma, tanto di cappello a chi sa produrre le equazioni "giuste" e a chi
dimostra creatività scientifica, tuttavia occorre anche avere la massima
cautela nell'adottare gli schemi concettuali di coloro che hanno prodotto
tutta quella "potenza algoritmica".

E allora ben venga Newton, purché poi non si tratti Mach come una sorta di
"onanista mentale" (altro eufemismo), poiché altrimenti la grandezza di
Newton potrebbe soffocare qualche novello Einstein che per produrre a sua
volta della "potenza algoritmica" avrà bisogno di riflettere "alla Mach" su
certi problemi. E anche con Einstein la storia non sarà finita, perché anche
il "paradigma pan-geometrico" potrà a sua volta diventare una "gabbia
concettuale".

Tutto questa noiosa premessa perché quando affermo che il "collasso della
funzione d'onda" o il "dualismo onda-corpuscolo" sono delle "fesserie", o
quando sostengo che non ha senso definire "stato" una "colezione massima di
informazione" vorrei che oltre alla mia (antipatica) arroganza (di cui mi
scuso ancora) emergesse anche la necessità di liberarsi da qualunque
"sudditanza concettuale" nei confronti di chicchessia.

Tu stesso, da qualche altra parte, affermavi che nella costruzione dei
nostri modelli mentali noi dobbiamo lasciarci "guidare dai fenomeni", da
quello che ci mostra la natura.

Ebbene, non meniamo il can per l'aia: i fenomeni ci mostrano che per un
quanto si può definire una posizione spaziale? Suvvia.

Sono d'accordo che non dobbiamo farci vincolare da nessun "modello
preconcetto", ma è proprio in nome di questo che io chiedo di non violentare
la logica in nome di qualche altro modello preconcetto.

Supponiamo che io ti chieda: <<Si può definire la temperatura di una singola
molecola?>>

Tu o mi rispondi <<sì>>, o mi rispondi <<no>>, o mi rispondi che non lo sai
o mi rispondi che la mia domanda non ha alcun senso (e mi spieghi perché).

Ma non puoi rispondermi che la molecola ha "tante temperature" oppure che ne
ha una ma è "indeterminata". Il punto è che la temperatura di una molecola
non è né "multipla" né "indeterminata", ma è in-definita, nel senso che non
è definita, ovvero -semplicemente- la risposta alla mia domanda è <<No, non
possiamo definire una temperatura per una singola molecola>>. Se invece
cerchi di dirmi che ne ha "molte" o ne ha una che è "indeterminata" sei tu
che non ti fai "guidare dai fenomeni" nella costruzione dei tuoi modelli
concettuali, e ti arrampichi sugli specchi per poter conservare i tuoi
modelli preconcetti.

E veniamo ai nostri "quanti".

Tu vuoi che io ti mostri l'"evidenza" del fatto che un quanto *non* ha una
posizione spazio-temporale, non ce l'ha *mai*, come la molecola non ha *mai*
una temperatura.

Il problema è che l'e-videnza è e-vidente solo per chi la vuole...
vedere :-)

Per questo parlavo di chi <<non vuol guardare nel cannocchiale>>. Se io ti
chiedo di guardare nel cannocchiale, tu potresti anche farlo, per poi dirmi
che non è affatot e-vidente che quell'aggeggio lì, che io chiamo
"cannocchiale", mi mostri qualcosa che sia la "realtà". Io ti direi che
quell'affare lì non fa altro che ingrandire l'immagine degli oggetti, e
cercherei di dimostrartelo parlandoti delle "leggi dell'ottica", ma tu
potresti dire che 'ste "leggi dell'ottica" sono solo fantasie mie, e che
quell'aggeggio non fa altro che "mostrare sogni e fantasie".

Lo dico perché alla seguente domanda:

<<Si può associare una posizione spazio-temporale ad un quanto?>>

la risposta è "e-videntemente" <<No>>, dopodiché però questa e-videnza non è
affatto e-vidente, perché uno può sempre inventarsi che le "interferenze"
sono prodotte dalle "onde pilota", o tirar fuori "molti mondi", o non so
quale altra infinità di ipotesi nel più totale disprezzo del <<rasoio di
Ockham>>.

E c'è poi un'altra considerazione da fare: chi si esprime per ossimori
riuscirà sempre a dimostrarti tutto ed il contrario di tutto - come era già
ben noto ai logici medievali.

Considera ad esempio una espressione come <<le probabilità si sommano in
ampiezza>>.

Ecco, io dico che è un ossimoro, e che è "evidentemente" un ossimoro.

Vogliamo provare a ragionarci assieme?

Dunque, io mi sentirei di dire che una grandezza fisica -affinché abbia un
senso fisico- deve essere definibile *operativamente* o derivabile da
grandezze definibili operativamente. Ci sono tomi ponderosi che criticano
tenacemente questo punto di vista, ma sono per lo più prodotti da quel che
rimane dell'antica metafisica nella cultura "continentale". Spererei di
ottenere -su questo punto- la solidarietà di ogni fisico, ma non si sa mai.

E così come per poter capire qualcosa di relatività bisogna aver sempre
presente davanti agli occhi la definizione operativa di simultaneità
(altrimenti ci si infila in ogni sorta di paradosso e assurdità) allo stesso
modo quando si nomina la "probabilità" occorre sempre avere davanti agli
occhi la definizione operativa di probabilità, sennò ci si ritrova a dover
parlare -con dei fisici!- di "probabilità intrinseche", o "fenomeni
intrinsecamente probabilistici", peggio che se ci si trovasse a parlare di
idee con il vecchio Platone.

Dunque, la "probabilità" di un evento non è altro che il limite della
frequenza relativa di un certo evento, sicché per parlare della
"probabilità" devo essere in condizioni di poter *contare*. Anche questo mi
pare "evidente".

Supponiamo ora di fare un esperimento con solo il foro N. 1 aperto, e
*contiamo* il numero N[1](x) di elettroni che arrivano in un certo intorno
del punto x del rivelatore. Facciamo poi lo stesso esperimento tenendo
aperto solo il foro N. 2, e *contiamo* il numero N[2](x) di elettroni che
arrivano nello stesso intorno di x.

Osserviamo anche empiricamente che il rapporto fra N[...](x) ed il numero
totale di elettroni ha un andamento asintotico, sicché il mio esperimento si
mostra compatibile con l'ipotesi che esiste il limite di quel rapporto e mi
fornisce anche una stima per quel limite. Ecco, è qui che -se voglio- posso
passare dai conteggi alle probabilità. Oppure continuo a parlare di
conteggi, onde non correre il rischio di perdere di vista la famosa
definizione operativa.

Bene, adesso faccio altri due esperimenti: uno con tutti e due i fori aperti
ma *senza* un dispositivo che mi consenta di stabilire in quale foro è
passato l'elettrone -indicherò con [12] questo esperimento- e l'altro con
ancora tutti e due i fori aperti ma stavolta *con* un dispositivo che mi
consenta di stabilire in che foro è passato l'elettrone -indicherò con [1-2]
questo quarto esperimento.

Cosa possiamo *contare* in questi due ultimi esperimenti?

Possiamo contare ancora il numero di elettroni che arrivano in quell'intorno
di x scelto all'inizio, e indicheremo con N[12](x) e N[1-2](x) questi
conteggi.

Possiamo anche contare, degli N[1-2](x) elettroni, quanti ne sono passati
nel foro N. 1 e quanti nel foro N. 2. Indicheremo con N[1-2](1|x) e con
N[1-2](2|x) questi conteggi.

*Ma* *non* possiamo contare -per definizione!- il numero di elettroni che
sono passati nel foro N. 1 e nel foro N. 2 nell'esperimento [12]. Anzi, per
quel che ne sappiamo fino a qui non ha nemmeno senso parlare di "elettroni
che sono passati nel foro N. 1 e nel foro N. 2" (sempre se ci si attiene a
ciò che è definibile operativamente).

Adesso possiamo fare qualche altra osservazione.

Innanzi tutto nell'esperimento [1-2] non può che sussistere la seguente
relazione:

N[1-2](1|x) + N[1-2](2|x) = N[1-2](x)

E questo è *necessario* che sia così: ho preso un insieme di "puntini", l'ho
suddiviso in due sottoinsiemi e quindi è ovvio che la somma dei puntini dei
due sottoinsiemi sia pari al numero complessivo di puntini!

Ovvero: *le probabilità si sommano*, per stessa ragione per cui -direbbe
Russell- ci sono dodici pollici in un piede. E su questo non si discute.

Facciamo anche un'altra importante scoperta, ovvero che

N[1](x) = N[1-2](1|x)
N[2](x) = N[1-2](2|x)

Questa è una osservazione empirica, sperimentale. Nessuno ci assicura che
debba essere così. Eppure troviamo che le cose stanno così, il che ci
potrebbe far pensare (ma stiamo già costruendo un modello ipotetico) che gli
elettroni che passano nel foro N. 1 nel corso dell'esperimento [1-2] si
comportano come gli elettroni che passano nell'unico foro disponibile nel
corso dell'esperimento [1]. E questo a sua volta potrebbe farci pensare che
gli elettroni che passano nel foro N. 1 in nessun caso risentono del fatto
che l'altro foro sia aperto o chiuso. Tutto ciò è compatibile con la nostra
eventuale idea pre-concetta che le interazioni debbano essere "locali", ma
non c'è nessuna necessità che le cose stiano in questo modo: dobbiamo solo
osservare i fenomeni.

Andiamo ora a prendere l'esperimento [12].

Innanzi tutto ricordiamo che N[12](1|x) e N[12](2|x) *non* sono grandezze
*definite*, sono numeri in-definiti. Ne viene che la relazione

N[12](1|x) + N[12](2|x) = N[12](x)

non è né vera né falsa, ma è *indefinita*. In essa compaiono delle grandezze
che non sono definite. Stop.

Quindi affermare che *in questo esperimento* le probabilità si sommano, o
dire che le probabilità non si sommano, o dire che "si sommano in ampiezza",
o che si sommano col triplo salto carpiato, o quel che è sono tutte
espressioni prive di senso fisico.

C'è qualcosa che possiamo fare che abbia un *senso fisico*?

Sì, possiamo prendere i "conteggi parziali" ottenuti negli *altri*
esperimenti, ed osservare che

N[1](x) + N[2](x) <> N[12](x)

A questo punto possiamo metterci a fare un po' di conti e facciamo una
scoperta interessante, ovvero che ad ognuno dei due esperimenti [1] o [2]
possiamo associare un certo angolo a[1] e a[2] tale che

N[12](x) = N[1](x) + N[2](x) +
+ 2 Rad( N[1](x) ) Rad( N[2](x) ) cos ( a[1] - a[2] )

Bene, benissimo! Abbiamo trovato il modo di ricavare il conteggio ottenuto
nell'esperimento [12] dai conteggi ottenuti negli esperimenti [1] e [2]!

Non solo, ma i conteggi ottenunti negli esperimenti [1] e [2] a loro volta
sono uguali ai conteggi parziali ottenuti nell'esperimento [1-2], quindi
vale anche la seguente:

N[12](x) = N[1-2](1|x) + N[1-2](2|x) +
+ 2 Rad( N[1-2](1|x) ) Rad(N[1-2](2|x) ) cos ( a[1] - a[2] )

Tutto bene. Adesso possiamo anche decidere di semplificare un po' le formule
introducendo dei numeri complessi, ma il senso fisico di tutto ciò resta lo
stesso: abbiamo una relazione che lega dei conteggi ottenuti in un
esperimento con i conteggi (parziali) ottenuti in *altri* esperimenti, che
sono diversi dal primo! Quindi qualunque sia l'equazione che otteniamo, essa
non potrà mai negare che in un certo esperimento "le probabilità si
sommano". Al massimo questa affermazione potrà restare *indecidibile*, ma
non potrà *mai* essere *negata*, poiché essa è -in un certo senso-
"tautologica", e noi non possiamo violentare la logica solo per fornire
delle buone metafore ai fisici.

Ci sono anche altre espressioni che possono reintrodurre dalla finestra i
paradossi che io sto cercando di far uscire dalla porta. Ad esempio si dice
che gli angoli a[1]e a[2] sono le "fasi" associate alle due "traiettorie
possibili", quella che passa per il punto 1 e quella che passa per
il punto 2.

Ecco, dicendo così sembra quasi che si possa parlare di "traiettorie" anche
nell'esperimento [12] e che in quello stesso esperimento "le probabilità
delle due traiettorie possibili si sommino in ampiezza". Giammai.
Nell'esperimento [12] le traiettorie non sono osservabili, ergo noi non
sappiamo né contare gli elettroni che sono passati nei due fori né sappiamo
che senso abbia parlare di elettroni che sono passati in uno o nell'altro
dei due fori. Quindi quelle due "fasi" che associamo alle "traiettorie" sono
semplicemente delle grandezze che ci consentono di correlare fra di loro
granadezze otenute in *esperimenti diversi*.

Se pensare alla MQ come una fisica che ci consente (solo) di "correlare
conteggi di esperimenti diversi" ci richiede uno sforzo concettuale
eccessivo potremmo cercare di "barare" un po', e cercare con qualche "trucco
logico" di restare all'interno dell'esperimento [12] facendo un discorso di
questo genere:

<<*Se* nell'esperimento [12] valesse la MC allora in questo caso ci
sarebbero solo due traiettorie possibili, sarebbero definibili le quantità
N[12](1|x) e N[12](2|x) e varrebbero le relazioni:

N[12](1|x) = N[1-2](1|x) = N[1](x)
N[12](2|x) = N[1-2](2|x) = N[2](x)

N[12](x) = N[12](1|x) + N[12](2|x)

*Ma* la MC non è valida, e so che per ottenere i risultati "giusti" anziché
sommare le "probabilità" nel modo consueto le devo invece "sommare in
ampiezza". So che questo è un procedimento assurdo, ma è un modo per
"correggere l'errore" che compio parlando di "traiettorie possibili"
nell'esperimento [12], e considerandole mutuamente esclusive e
complessivamente esaustive.>>

Ecco, se voglio applicare la MQ come una teoria che riguarda solo
l'esperimento [12] devo fare così:

1) ragionare, "per un po'" in modo "classico" (= pensare all'insieme delle
traiettorie possibili)

2) ad un certo punto fare qualcosa di "assurdo" (= sommare le probablità in
ampiezza) che possa "correggere l'errore"

Insomma: un errore logico per correggere l'errore prodotto dall'aver usato
(in parte) la teoria sbagliata.

Se ci pensi bene, dal punto di vista concettuale è la stessa cosa che si
faceva agli albori della MQ, quando si prendeva un certo problema, si
calcolavano le traiettorie "classiche" e poi "assurdamente" si scartavano
tutte quelle la cui azione non era pari ad un multiplo del quanto d'azione.

Anche allora si applicava la MC e poi si faceva qualcosa di "assurdo" per
"correggere l'errore".

Ora, a me sta bene che i fisici -per di ottere i risultati "giusti" nel modo
più comodo possibile- mettano a punto gli "algoritmi" più astrusi. Purché,
appunto, siano poi disposti, all'occorrenza, a mantenere la necessaria
lucidità concettuale.

Se diciamo che <<le probabilità si sommano in ampiezza>> tanto "per capirci"
va bene. Purché sia chiaro che si tratta di una assurdità logica che va a
compensare un'altra assurdità logica (il fatto di usare un esperimento che è
"uno e trino"), e senza voler ricavare da quella assurdità tutte le altre
infinite assurdità che possono essere ricavate da un ossimoro (come la
"sovrapposizione degli stati" e via andare).

Saluti,
Davide
Valter Moretti
22 anni fa
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Davide Pioggia wrote:

Ciao, non commento tutto il lungo pezzo di sopra perche' mi pare
un po' fuori luogo per la discussione specifica, anche se sono
d'accordo su alcune cose che dici ma non su tutte.
...
Veramente io ti risponderei "dipende da cosa vuoi che faccia la tua
temperatura di UNA molecola (da sola) e in che contesto ti metti".
Certo che e' molto difficile con una sola molecola riavere tutta la
termodinamica. Ma puoi sempre definire la temperatura usando la teoria
cinetica quando la particella e' dotata di velocita' ed ha senso parlare
di velocita' quadratica media. Se prendi una teoria quantistica
la temperatura la puoi definire come il parametro che caratterizza
una distribuzione canonica. Ci sono teoremi di Von Neumann che ti dicono
quanado eseguendo la media temporale dell'evoluzione di uno stato
di un sistema quantistico lo stao medio tende ad una matrice densita'
che nel caso di sacmbio di energia con un serbatoio termico
produce una distribuzione canonica (canonical enesemble).
Ora non mi ricordo le ipotesi, ma non giurerei che sia proprio
impossibile riprodurre per tale via una distribuzione canonica con una
sola molecola anche se dal punto di vista fisico intuitivo mi
sembrerebbe strano. Il punto e' che non si puo' usare sempre la stessa
definizione di temperatura per tutti i sistemi fisici e la stessa cosa
accade per tutte le grandezze fisiche. Quello che si fa e' che si danno
diverse definizioni che pero' ammettono sistemi fisici in cui coincidono.
Si estendono cosi' come le funzioni analitiche i concetti primitivi.
Per quanto riguarda la temperatura, ne esistono in teria non
relativistica almeno due definizioni, una dovuta alla termodinamica
(temperatura assoluta) ed una alla teoria cinetica|meccanica statistica
(parametro 1/beta). Si vede che poi sono definizioni equivalenti quando
si lavora con un gas ideale.
Nel momento in cui accendi la gravita' (relativita' generale) le due
definizioni non vanno piu' d'accordo perche' la gravita' ci mette
lo zampino e i termomtri locali non misurerebbero piu' 1/beta
come ha chiarito Tolman e la relazione tra le due e' piu' complicata.
Si vede ancora pero' che le due definizioni danno lo stesso risultato
nel limite di campo gravitazionale nullo...
Post by Davide Pioggia
E veniamo ai nostri "quanti".
Tu vuoi che io ti mostri l'"evidenza" del fatto che un quanto *non* ha una
posizione spazio-temporale, non ce l'ha *mai*, come la molecola non ha *mai*
una temperatura.
Mi interessa la prima parte perche' come ho detto la seconda e' meno
evidente di quello che dici.
Post by Davide Pioggia
<<Si può associare una posizione spazio-temporale ad un quanto?>>
Cosa e' un quanto? Intendi una particella quantistica? La mia risposta
e': dal mio punto di vista, faccio una misura di posizione (devo
definire cosa sia uno strumento che misura la posizione) e quando la mia
particella interagisce con lo strumento e dice "questa e' la posizione"
dico quella e' la posizione della particella. Quando non faccio misure
di posizione la particella non ha posizione, punto e basta.
(Forse tu dirai, ma questa definizione
non e' propria della particella perche' ho usato uno strumento: e' una
relazione tra la particella e lo strumento. OK, per me va bene
ugualmente, non vedo problemi in cio'. Vuol dire che la nozione
QUANTISTICA di posizione e' piu' complessa di quella classica. Tuttavia
usando il teorema di Erenfest per il centro di massa di particelle molto
massive (per cui il pacchetto si sparpaglia pochissimo) sottoposte a
forze con potenziali che variano lentamente nello spazio, vedo che
questa nozione di posizione (misurandola successivamente) mi riproduce
quella di una particella classica (con la sua traiettoria)....)

In ogni caso io mi riferivo ad altre cose, un po' piu' profonde, quando
parlavo del fatto che FORSE la nozione di spaziotempo e' "secondaria".
...
Ci provo, ma non ho capito quasi niente su doive vuoi andare a parare.
Post by Davide Pioggia
Dunque, io mi sentirei di dire che una grandezza fisica -affinché abbia un
senso fisico- deve essere definibile *operativamente* o derivabile da
grandezze definibili operativamente. Ci sono tomi ponderosi che criticano
tenacemente questo punto di vista, ma sono per lo più prodotti da quel che
rimane dell'antica metafisica nella cultura "continentale". Spererei di
ottenere -su questo punto- la solidarietà di ogni fisico, ma non si sa mai.
Si credo che l'approccio operativista sia sensato, ma e' impossibile
ridurre tutti i concetti, che si sono rivelati importanti, della fisica
a cio': che cosa e' la lagrangiana di un campo in termini operativi?
Post by Davide Pioggia
Dunque, la "probabilità" di un evento non è altro che il limite della
frequenza relativa di un certo evento,
(ti faccio notare che la questione e' piu' subdola: probabilita' zero
significa evento impossibile, ma con la tua "definizione" operativa, se
ottenssi una frequenza che "tende a zero" senza essere nulla diresti
che la probabilita' e' zero?)

Scusa ma taglio tutto il tuo lungo discorso e cerco di tirare le
conclusion riguardo a quello che ho capito (perche' sei un po' troppo
logorrico :-) e si perde facilissimamente il filo...)
Arriviamo al punto
Post by Davide Pioggia
Ecco, se voglio applicare la MQ come una teoria che riguarda solo
1) ragionare, "per un po'" in modo "classico" (= pensare all'insieme delle
traiettorie possibili)
2) ad un certo punto fare qualcosa di "assurdo" (= sommare le probablità in
ampiezza) che possa "correggere l'errore"
Insomma: un errore logico per correggere l'errore prodotto dall'aver usato
(in parte) la teoria sbagliata.
Guarda, non sono per niente d'accordo sulla tua impostazione della
questione ,anche se condivido il fatto che non ci sia la posizione della
particella quando
non la misuro, se e' questo che sostieni, e se lo e' devi sapere
che e' una cosa che sostengono in 99% dei fisici per cui non capisco
il senso di tutto il tuo discorso. Veniamo ai dettagli.

a) Prima di tutto nella MQ NON ci sono le traiettorie. Se ne puo'
parlare nella formulazione con i cammini di Feynman ma non e'
obbligatorio e nemmeno un punto di vista condiviso da tutti (anche se
tecnicamente (ci sono grossi problemi matematici in alcuni casi pero')
i risultati finali sono gli stessi della MQ standard).

b) In secondo luogo perche' parli di "assurdo"? e di errori logici.
Cosa significa assurdo? Significa logicamente sbagliato oppure
"contrario al senso comune"? Mi pare che tu non abbia capito (come
purtroppo anche diversi fisici ) che la teoria della probabilita' che si
usa in MQ non e' quella classica, * anche se si conserva la questione
frequenza = probabilita'*.

La teoria probabilistica classica e' una teoria della misura su
un reticolo booleano. Di fatto e' una misura finita
su una sigma algebra definita nel senso di Kolgomorov.

La teoria probabilistica quantistica e' una teoria della misura
su un reticolo ortocomplementato completo il cui modello usuale della
MQ e' costituito dall'insieme dei proiettori ortogonali in uno spazio di
Hilbert (separabile).

La differenza sostanziale e' la seguente. Nel primo caso presi due
eventi P e Q posso sempre costruirne la disgiunzione logica e la
congiunzione ecc... ecc.. e posso, conoscendo le probabilita' di eventi
elementari calcolare quelle degli eventi costruiti con i connettivi.
In tal modo, in particolare, posso anche parlare di probabilita'
condizionata che un evento P accada quando e' noto che ne e'avvenuto un
altro Q.


Nel secondo caso ci sono eventi la cui combinazione con i connettivi
logici e' priva di senso. In tal modo devo abbandonare la teoria di
Kolgomorov perche' non ho piu' a disposizione una sigma algebra.
Bisogna allora estendere il concetto di probabilita'. E' cio' e' stato
fatto in passato dai matematici e dai logici, in modo da includere
quella che in MQ si chiama probabilita'. Ti dico solo che la definizione
si riduce a quella solita quando consideri un insieme di eventi
compatibili l'uno con l'altro che costituiscono l'equivalente di
un'osservabile massima. Ecci i due fatti fiondamentali.

1) Con *questa* nozione di probabilita' si fa la MQ. Esiste un teorema
dovuto a Gleason che ti prova che l'assegnazione di
una misura di probabilita' e' equivalente all'assegnazione di una
matrice densita' (o a uno stato puro se la misura e' estremale
nell'insieme convesso delle misure quantistiche).

2) In questo contesto si formalizza tutta la probabilita' usata
in MQ e, cosa ormai ovvia, le formule della *probabilita' condizionata*
sono *diverse da quella classica* quando i due eventi P e Q sono
"incompatibili" in senso quantistico.
***In quel caso saltano fuori le ampiezze di probabilita'***.

Ma stiamo parlando di teorie di (logica) matematica
per cui dubito che si possa parlare di errori logici o assurdita'.

Ciao, Valter
--
------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Valter Moretti
22 anni fa
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Solo questo: mi sono accorto che quanto ho scritto e' abbastanza
illegibile (non solo per l'ortografia torturata) perche' l'ho scritto
di getto senza il tempo di rileggere. Purtroppo il tempo e' quello che
e'! Spero tu sia rouscito a capire qualcosa di quanto volevo dire.
Ciao, Valter
Post by Valter Moretti
Ciao, non commento tutto il lungo pezzo di sopra perche' mi pare
un po' fuori luogo per la discussione specifica, anche se sono
d'accordo su alcune cose che dici ma non su tutte.
------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Davide Pioggia
22 anni fa
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Post by Valter Moretti
Ci sono teoremi di Von Neumann che ti
dicono quanado eseguendo la media temporale dell'evoluzione di uno
stato
di un sistema quantistico lo stao medio tende ad una matrice densita'
che nel caso di sacmbio di energia con un serbatoio termico
produce una distribuzione canonica (canonical enesemble).
Sì, ma è nella sostanza quello che avevo cercato di sottolineare parlando
del moto browniano, che è appunto un approccio "mesoscopico".

Infatti c'è una particella che viene descritta per mezzo di proprietà
"meccaniche" (posizione, velocità, eccetera) mentre tutte le altre vengono
descritte a livello "macroscopico", dicendo che si tratta di un fluido ad
una certa temperatura, pressione, eccetera.

Per avere una totale "simmetria" fra tutte le particelle (che equivale ad
avere una teoria "puramente miscroscopica") noi dovremmo dire che in un
certo istante di tempo la prima particella ha una certa posizione e
velocità, la seconda ha un'altra posizione e velocità, la terza altre ancora
e così via.

Invece che facciamo? Ci poniamo in un punto di vista "a metà strada" (=
"meso") fra il microscopico e il macroscopico: una particella la descriviamo
per mezzo delle sue proprietà "miscroscopiche" (posizione, velocità, ecc.) e
tutte le altre le descriviamo a livello "macroscopico" (diciamo che
"costituiscono un fluido posto ad una certa temperatura, pressione,
eccetera").

Posso anche vedere la cosa da un altro punto di vista, e dire che per una
particolare particella fornisco delle informazioni "esatte", mentre per le
altre fornisco solo un "riassunto statistico".

Ora, è chiaro che avendo adottato una descrizione "meso", qualunque domanda
mi ponga sulla evoluzione di quella particella non possa che ottenere una
risposta "mista" (= meso). Il che è come dire che avrò equazioni in cui
compaiono simultaneamente delle grandezze "microscopiche" e delle grandezze
"macroscopiche". Ovvero -che è lo stesso- avrò delle equazioni che mi
consentono di dare risposte "probabilistiche" a "domande esatte" (e poi ci
si stupisce che la MQ è "probabilistica": è ovvio che è tale, essendo una
teoria "mesoscopica").

Facciamo un esempio concreto.

Tu prendi una particella immersa in fluido della quale sai che al tempo t0
si trova in una certa posizione x0 ed ha una certa velocità v0.

Poi fai una domanda puramente "meccanica", che richiede(rebbe) una
"informazione completa". Ecco la domanda:

<<Quali saranno la posizione e la velocità della particella al tempo t?>>

Ebbene, se noi avessimo adottato una approccio puramente "miscroscopico"
potremmo rispondere a questa domanda non solo in modo "esatto",
ma -soprattutto- facendo ricorso solo a grandezze "miscroscopiche". Nella
nostra risposta comparirebbe solo la posizione e la velocità iniziale di
tutte le particelle, la loro massa, carica, eccetera.

Invece noi abbiamo fornito una descrizione "miscroscopica" solo di un
particella, e di tutte le altre abbiamo fornito un "riassunto statistico",
introducendo -corrispondentemnete- delle proprietà che sono definite solo a
livello macrscoscopico (come, appunto, la temperatura).

Ed infatti nella risposta a quella domanda ci ritroviamo tutti i seguenti
ingredienti:

1) grandeze microscopiche (riferite a quella particella);

2) grandezze macroscopiche (riferite all'ambiente)

3) probabilità (dovuta al fatto che l'informazione microscopica
sull'ambiente è stata "riassunta", "ridotta")

Una risposta potrà essere la seguente:

<<Al tempo t abbiamo una probabilità di trovare la velocità della particella
in un intorno di v che è pari a... [segue una complicata espressione in cui
compaiono varie grandezze macroscopiche che descrivono l'"ambiente", fra cui
ovviamente la temperatura].>>

Quella "complicata espressione" per t che tende all'infinito assume di
solito l'aspetto di quella "distribuzione canonica" di cui parlavi tu, nella
quale la temperatura compare come agomento di un esponenziale eccetera.

Ma non facciamoci distrarre troppo dalla matematica.

E' vero che la temperatura mi può servire per "rispondere ad una domanda
microscopica", ma ciò accade perché la mia descrizione del sistema è
"mesoscopica".

Se ora io mi chiedo:

<<Tutte queste grandezze che ho usato, a che "livello" sono *definite*?>>

Ebbene, la "posizione" e la "velocità" sono grandezze proprie del livello
"miscroscpico" e la la "temperatura" e la "pressione" sono grandezze proprie
del livello "macroscopico".

Quello che dovrebbe essere chiaro è che se parlo di una particella e nomino
la "temperatura" allora:

1) sto *sempre* parlando della temperatura dell'*ambiente* di quella
particella (che anziché essere descritto come insieme di particelle viene
descritto a livello "macroscopico")

2) da qualche parte devono saltare fuori le *probabilità* (e questo a
prescindere dal fatto che la teoria "microscopica" sia "intrinsecamente
probabilistica" o "deterministica" o quel che è).

Il fatto che tu, per poter nominare la "temperatura" parlando di una
particella debba tirar fuori lo <<scambio di energia con un serbatoio
termico>> ti dovrebbe mostrare chiaramente che la "temperatura" la definisce
la presenza di un "ambiente".

Ecco, per i "quanti" è la stessa cosa.

Consideriamo il seguente evento:

<<Il quanto viene assorbito dal rivelatore nel punto x all'istante t>>.

Ora, il quanto ha delle sue definite proprietà, come ad esempio la carica
elettrica. Quindi il nostro evento, nel caso di un "quanto di carica", può
anche essere descritto così:

<<Un quanto di carica e viene assorbito dal rivelatore nel punto x
all'istante t>>.

Ebbene, questo è analogo ad affermare che:

<<Una particella avente velocità v è immersa in un fluido posto a
temperatura T>>

E' il rivelatore che si trova nella posizone x al tempo t, e non il quanto,
il quale non fa altro che "essere assorbito" dal rivelatore. Questo "essere
assorbito" a sua volta corrisponderà a qualche interazione "puramente
quantistica", che in qualche modo sarà descrivibile a livello "miscroscopico
puro" (che noi non conosciamo perché la MQ è "mesoscopica"). Ci sarà ad
esempio una "interazione quantistica miscoscopica" la cui "eco" a livello
miscoscopico sono ciò che noi chiamiamo "entanglement" o "interazione di
scambio" eccetera. In fondo, cosa fa il nostro elettrone per essere
"assorbito"? Diviene "entangled" con tutti gli elettroni che costituiscono
il rivelatore.

Ma non ha senso dire che siccome viene assorbito allora "ha" la posizione x
all'istante t.

Allo stesso modo quando diciamo che la nostra particella browniana è
"immersa" in un fluido posto a temperatura T, stiamo affermando che quella
particella ha determinate interazioni "microscopiche" con tutte le
particelle che costituiscono quel fluido, ma non diciamo che per il semplice
fatto di essere immersa in un fluido a temperatura T allora anche per la
singola particella si può definire una "temperatura" e quella temperatura è
T! La "temperatura" è una proprietà che riguarda l'"ambiente" in cui si
trova la particella. Stop.
Post by Valter Moretti
Post by Davide Pioggia
Tu vuoi che io ti mostri l'"evidenza" del fatto che un quanto *non*
ha una posizione spazio-temporale, non ce l'ha *mai*, come la
molecola non ha *mai* una temperatura.
Mi interessa la prima parte perche' come ho detto la seconda e' meno
evidente di quello che dici.
Spero che ora la seconda parte sia un po' più "evidente" (e spero anche sia
chiaro che l'"evidenza" non esiste, perché il cannocchiale potrebbe essere
un "proiettore di sogni").

Quanto alla prima parte, nel mio post precedente avevo discusso un certo
esperimento partendo dal presupposto che le grandezze per avere un senso
fisico devono essere *definibili operativamente*.

Ora, mi fa un po' ridere essere qui a "difendere" Bridgman, perché in altri
contesti ho anche ciriticato aspramente in pan-operativismo del XX secolo.
Tuttavia proprio perché credo di conoscere i limiti di quella impostazione
filosofica, credo anche di saper quando la si deve applicare.

Alla vecchia "domandona" <<Perché la matematica "funziona"?>> si può
rispondere solo se ci si rende conto che la matematica "funziona" laddove si
usano esclusivamente delle grandezze *definite operativamente*. Si
costruisce una "ricetta operativa", la si "impacchetta" in un "loop" e poi
si *contano* i "loop". Ecco da dove vengono i "numeri".

Come dicevo speravo che almeno qui -fra fisici- tutto ciò fosse "pacifico".
Ed invece non lo è, ed ovviamente non posso pretendere che ciò sia
"evidente" a tutti i costi.

*Se* fosse stato "evidente" (se, cioè, avessimo trovato un "accordo" sul
fatto che per capire ciò di cui si sta parlando occorre *sempre* tenere
presente qual è la sua definizione *operativa*), allora il senso di tutto
quel lungo ragionamento sull'esperimento dei due fori era quello di mostrare
che per evitare i "paradossi" della MQ basta prendere atto del fatto che la
"traiettoria" di un quanto non è definibile. Né "ineterminata" né
"multipla", ma in-definita. E siccome non è definita la traiettoria non è
definito neanche un "punto della traiettoria", cioè la "posizione", e se la
"posizione" non è definita allora non è definita *mai*, punto e basta.

Ma tu non accetti del tutto il mio approccio "operativista", ovvero mi
"neghi il cannocchiale". Pazienza :-)
Post by Valter Moretti
dal mio punto di vista, faccio una misura di posizione (devo
definire cosa sia uno strumento che misura la posizione) e quando la
mia particella interagisce con lo strumento e dice "questa e' la
posizione"
dico quella e' la posizione della particella.
Quella è la "posizione" dello strumento. Del quanto sai solo che ha
interagito con uno strumento che ha quella posizione. Così come della
particella browniana eccetera.

D'altra parte tu sei libero di "definire operativamente" la "posizione" del
quanto nel modo in cui hai detto. Purché -allora- tu sia disposto a
rinunciare a parlare di "posizione" di un quanto ogni qualvolta essa non sta
interagendo con quel dispositivo.

Ma se tu rinunci a parlare di "posizione" ogni qualvolta il quanto non sta
interagendo con il dispositivo, allora stai dicendo che nell'intervallo di
tempo in cui il quanto è stato emesso e non ancora assorbito la sua
posizione è in-definita, il che esclude che si possano nominare delle
"sovrapposizioni" o delle "indeterminazioni"!

Ripeto: non puoi dirmi che prima di interagire con il dispositivo il quanto
aveva "molte posizioni" o ne aveva una "indeterminata", ma puoi dirmi solo
che prima *non* aveva alcuna posizione, e poi -solo quando interagisce- ha
una "posizione" (che è quella del rivelatore).

E' un po' come definire "temperatura di una particella" (in fondo ognuno è
libero di definire ciò che gli pare) la temperatura del fluido in cui essa
immersa. Va bene, dico io, facciamolo pure, poiché poi non ci mettiamo in
testa di chiederci qual è la temperatura della particella quando essa passa
da un fluido ad un altro.

Come vedi in questo punto io mostro di considerare accettabile la tua
"proposta" di dire che quando il quanto interagisce con il rivelatore che ha
posizione x all'istante t allora (x,t) sia anche la posizione
spazio-temporale del quanto. Dico: <<Sì, va bene, una definizione è una
definizione, ognuno dà quelle che vuole.>>

Tuttavia da quella definizione che tu proponi seguono non solo i "pericoli"
che ho cercato di mettere in evidenza, ma anche altri "grossi problemi".

In particolare se adottiamo la tua proposta, noi dovremmo dire che
all'istante t1, quando il quanto viene emesso da un di positivo posto in x1
esso (il quanto) "ha" la posizione x1. Poi diremmo che all'istante t2,
quando il quanto viene assorbito da un dispositivo posto in x2, esso (il
quanto) "ha" la posizione x2.

E poi -di comune accordo- diremmo che nell'intervallo di tempo [t1,t2] il
quanto non "ha" nessuna posizione spaziale.

Magari a questo punto potrei anche trovarti d'accordo nell'affermare che
"in-definito" non significa né "multiplo" né "in-detemrinato". Ma come
dicevo c'è un altro problema che mi pare più fondamentale.

Noi abbiamo appena indicato un intervallo di tempo [t1,t2] in cui il quanto
non "ha" una posizione. Quindi stiamo affermando che in ognuno di quegli
istanti il quanto, pur non avendo una "posizione nello spazio", ha una
"posizione nel tempo", ovvero "c'è". Stiamo pensando ad una sorta di insieme
continuo di "eventi non spaziali" parametrizzati dal parametro "t".

Quindi: <<lo *spazio* *no* ed il *tempo* *sì*>>.

E' accettabile questa "asimmetria"?

Io direi di no, per una serie di motivi:

1) Einstein ci insegna che la asimmetria fra spazio e tempo è prodotta da
una asimmetria nella "metrica" del cronotopo, ma non riesco ad immaginarmi
un punto del cronotopo in cui tre coordinate non sono definite ed una sì: se
un elemento di un vettore è indefinito tutto il vettore è indefinito;

2) l'esperimento delle due fenditure ci mostra che -in presenza di
"interferenza"- non solo non possiamo rispondere alla domanda <<*Dove* è
passato l'elettrone?>>, ma non possiamo nemmeno rispondere alla domanda
<<*Quando* è passato l'elettrone?>>

3) quelle che vengono definite "relazioni di indeterminazione" di Heisenberg
dimostrano che gli "effetti quantistici" presentano una "simmetria" fra
"spazio" e "tempo": se gli "effetti quantistici" ci fanno dire che la
"posizione spaziale" non è definita, allora anche la "posizione temporale"
non è definita.

Ne viene che o siamo costretti a dire che nell'intervallo di tempo [t1,t2]
il nostro quanto "non c'è", oppure -santo cielo!- ci rassegniamo una volta
per tutte a dire che lo "spazio" ed il "tempo" sono proprietà "emergenti" a
livello "macroscopico", e che non ha alcun senso chiedere *dove* e *quando*
è passato l'elettrone.
Post by Valter Moretti
Quando non faccio misure
di posizione la particella non ha posizione, punto e basta.
Sì, ecco, vedo che siamo d'accordo. Allora nessuna "sovrapposizione di
stati" (o altre cose del genere), voglio sperare.
Post by Valter Moretti
Post by Davide Pioggia
Vogliamo provare a ragionarci assieme?
Ci provo, ma non ho capito quasi niente su doive vuoi andare a parare.
Ok, ne prendo atto e mi scuso per il mio modo un po' confuso (e prolisso) di
esprimermi.
Post by Valter Moretti
Post by Davide Pioggia
Dunque, io mi sentirei di dire che una grandezza fisica -affinché
abbia un senso fisico- deve essere definibile *operativamente* o
derivabile da grandezze definibili operativamente.
Si credo che l'approccio operativista sia sensato, ma e' impossibile
ridurre tutti i concetti, che si sono rivelati importanti, della fisica
a cio': che cosa e' la lagrangiana di un campo in termini operativi?
Io dicevo che una grandezza deve essere definita operativamente *oppure*
essere derivabile da grandezze definibili operativamente.

Nella lagrangiana compaiono grandezze cinematiche, la massa inerziale e
varie "cariche", tutte definibili operativamente.
Post by Valter Moretti
Post by Davide Pioggia
Dunque, la "probabilità" di un evento non è altro che il limite della
frequenza relativa di un certo evento,
(ti faccio notare che la questione e' piu' subdola: probabilita' zero
significa evento impossibile, ma con la tua "definizione" operativa,
se ottenssi una frequenza che "tende a zero" senza essere nulla
diresti
che la probabilita' e' zero?)
Aspe', stiamo calmi :-)

Sei sicuro che "probabilità zero" significa "evento impossibile"?
Post by Valter Moretti
Guarda, non sono per niente d'accordo sulla tua impostazione della
questione ,anche se condivido il fatto che non ci sia la posizione
della particella quando
non la misuro, se e' questo che sostieni, e se lo e' devi sapere
che e' una cosa che sostengono in 99% dei fisici per cui non capisco
il senso di tutto il tuo discorso.
Il senso del mio discorso è questo:

Secondo me non c'è *mai* la posizione della particella; certo è solo una
questione di come si vogliono definire queste grandezze, ma se tu di una
grandezza dici che <<c'è solo quando viene osservata>> ti metti su una
"brutta strada", perché poi ti viene da chiederti <<e allora che ne è di
quella grandezza quando non viene osservata? ha forse "tanti valori"? o ne
ha forse uno "indeterminato"? ma allora le cose "esistono" solo quando le
osserviamo?>>

Sarà anche vero che il 99% per cento dei fisici ha chiaro tutto ciò, ma io
leggendo i libri vedo anche che il 99% dei fisici tende a porsi delle
domande *prive di senso fisico* ed a fornire delle risposte che sono
altrettanto *prive di senso fisico*. Non sono né giuste né sbagliate: sono
affermazioni prive di senso che vengono chiamate "interpretazioni", non
vengono mai usate per "fare i conti" (ovvio, altrimenti gli algoritmi non
"funzionerebbero") e se si cerca di dare loro un qualche senso si producono
inevitabilmente delle antinomie o delle contraddizioni.

Cercavo ad esempio di farti vedere che -se ci si attiene alle definizioni
*operative*- l'espressione <<le probabilità si sommano in ampiezza>> non ha
senso. Stabilito che questa non ha senso, che dire di cose come <<il
"colasso" della funzione d'onda?>>
Post by Valter Moretti
Veniamo ai dettagli.
a) Prima di tutto nella MQ NON ci sono le traiettorie.
Eh, a chi lo dici!

Ma allora cosa dobbiamo dire -tu ed io- a coloro che parlano di
"sovrapposizione di stati"?

Non solo, ma nella parte del mio precedente post che tu hai letto
distrattamente perché troppo "incasinata" io cercavo di dimostrare che se le
traiettorie "non ci sono" allora non ha senso dire che <<le probabilità si
sommano in ampiezza>>, perché le probabilità che vengono "sommate"
appartengono ad esperimenti *molto diversi* fra loro, ed è del tutto
"normale" che se voglio ricavare i "conteggi" dell'esperimento A a partire
dai "conteggi" dell'esperimento B e C debba introdurre un qualche elemento
che mi "corregga" il fatto di stare utilizzando le misure di un *altro*
esperimento.
Post by Valter Moretti
Se ne puo'
parlare nella formulazione con i cammini di Feynman ma non e'
obbligatorio e nemmeno un punto di vista condiviso da tutti (anche se
tecnicamente (ci sono grossi problemi matematici in alcuni casi pero')
i risultati finali sono gli stessi della MQ standard).
Guarda, secondo me la formulazione con i "path integral" è cruciale per
comprendere la MQ, ed infatti di solito faccio riferimento a quella.

Se tu vuoi dirmi che quella formulazione non va bene dovresti cercare di
essere più convincente.

Ma tutto ciò alla fin fine è un problema che non rigurda la mia
argomentazione, perché in essa io parlavo solo di "conteggi": conto i "tic",
i "puntini", e poi faccio delle considerazioni sui risultati empirici di
quei conteggi, senza <<fingere ipotesi>>. E mi sembra che riesco a dire
tutto quel che c'è da dire senza nominare i "collassi", le
"sovrapposizioni", le "indeterminazioni" o quanto altro previsto dalla
"liturgia" che vedo praticare da quel 99% di fisici che pure tu mi assicuri
essere "atei".
Post by Valter Moretti
b) In secondo luogo perche' parli di "assurdo"? e di errori logici.
Cosa significa assurdo? Significa logicamente sbagliato oppure
"contrario al senso comune"?
Figurati se mi preoccupo del "senso comune".

"Assurdo" è ciò che viola la logica.

Se prendo un insieme di puntini e definisco un criterio per suddividerlo in
più sottoinsiemi, allora la somma dei puntini di tutti i sottoinsiemi sarà
pari al numero iniziale di puntini. Per questo ti dicevo che <<in un piede
ci sono dodici pollici>>, perché il pollice è la dodicesima parte del piede,
e quindi la mia è una "tautologia".

Se ora arriva uno a dirmi che <<in un piede ci sono un po' più o un po' meno
della dodicesima parte di un piede>> allora io dico che quello è un modo
"assurdo" di esprimersi.

Nell'esperimento [12] i "conteggi parziali" non sono osservati. Ed è proprio
questo fatto che definisce l'esperimento [12]. Allora non possiamo dire che
<<i conteggi parziali si sommano in ampiezza>>, perché non ha senso. Al
limite potrò dire che <<il conteggio totale dell'esperimento [12] si può
ottenere "sommando in ampiezza" i conteggi totali degli esperimenti [1] o
[2]>>, oppure potrò dire che <<il conteggio totale dell'esperimento [12] può
essere ottenuto "sommando in ampiezza" i conteggi parziali dell'esperimento
[1-2]>> eccetera. Va bene, avrò trovato una certa espressione matematica
(che chiamerò "somma in ampiezza" per far vedere al pubblico che so usare i
numeri complessi) che mi lega i conteggi relativi a diversi esperimenti.
Bene, benissimo, più roba sappiamo e meglio è, ma intanto resta il fatto che
<<in un piede ci sono dodici pollici>>, il che è come dire che <<le
probabilità si sommano>>, senza tirare fuori delle improbabili "logiche
quantistiche".
...
Guarda, a me che si faccia della "fisica non classica" sta benissimo.

Figurati: sono io quello "radicale" in questo contesto: sostengo addirittura
che una particella non ha *mai* una "posizione".

Ma una "teoria della probabilità non classica" è in sostanza una "logica non
classica".

Ora, mi piacerebbe che noi fossimo d'accordo su quanto ho appena detto, e
Post by Valter Moretti
Nel secondo caso ci sono eventi la cui combinazione con i connettivi
logici e' priva di senso.
E' qui che si produce lo "scontro", perché a me la "logica non classica"
sembra una "assurdità" :-)

Adesso che l'ho detto pensarai che io sia assai "ingenuo" in materia, che
sia digiuno di letture sulle "logiche artificiali", i meta-linguaggi, i
linguaggi-oggetto, e così via. Potrei dirti che non è così, ma poi perché
dovresti credermi?

Io uso i numeri complessi, anche per fare della fisica, eppure sono convinto
che nella mia vita non "incontrerò" mai dei numeri complessi. Vedrò 3
pecore, 4 gatti, un segmento lungo 3 metri, più 4 decimetri, più 6
centimetri, più 2 millimetri (e poi mi fermerò perché mi sarò stancato), ma
non incontrerò mai <radice di -1> pecore.

E credo di dirlo non per "ingenuità", ma proprio perché ritengo di aver
capito cosa ha a che fare la "matematica" con la "natura".

Così come uso volentieri i numeri complessi, uso anche le "logiche
alternative", però sono talmente presuntuoso da pensare che la natura mi
mostrerà sempre e soltanto la "logica classica", e che saranno solo le mie
"interpretazioni" prive di "senso fisico" a farmi pensare che la soluzione
di certi "paradossi" sia quella di "cambiare logica" o fare delle
"estensioni" di quella "classica".

A questo punto però mi fermo anche io, perché siamo definitivamente passati
dalla fisica alla filosofia, e quindi immagino di essere OT.

Ciao, grazie per tutto il tempo che mi hai dedicato.

Davide
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
Post by Davide Pioggia
Ma una "teoria della probabilità non classica" è in sostanza una "logica non
classica".
A mio parere non e' necessario assumere questo punto di vista
cosi' formale per vedere la situazione dipinta dalla MQ.
La Fisica ci dice che ci sono fatti (o asserzioni dal punto di vista
logico) relativi a sistemi fisici che non possono essere connessi da
connettivi logici. Ci dice anche come trattare queste cose e
quello che viene fuori e' la MQ.
Intanto questa e' _fisica_ e non logica: capita spesso che la fisica
irrompa apparentemente in altre branche che vengono cosi' "fisicizzate",
come per le geometrie "fisiche" non euclidee, quando la relativita' ha
provato che in generale (sotto le dovute ipotesi), la geometria dello
spazio non e' euclidea. In ogni caso per sviluppare la teoria della MQ
si usa la logica ordinaria, quella di tutti i giorni anche se le
assezioni che vengono fuori possono essere interpretabili all'interno
di una logica quantistica. Ma ripeto non e' affatto necessario arrivare
a tanto.
Post by Davide Pioggia
Adesso che l'ho detto pensarai che io sia assai "ingenuo" in materia, che
sia digiuno di letture sulle "logiche artificiali", i meta-linguaggi, i
linguaggi-oggetto, e così via. Potrei dirti che non è così, ma poi perché
dovresti credermi?
Non penso niente, inoltre io non conosco quasi nulla di interpretazioni
della MQ in termini di logiche non standard. Il mio punto di vista
e' quello che ho detto sopra: lavoro con oggetti matematici che hanno
_anche_ un'interpretazione in termini di logicha non standard, ma non mi
interessa piu' di tanto e non ritengo la cosa nemmeno molto utile per
un fisico. Basta avere chiara la fisica sottostante.
Post by Davide Pioggia
Ciao, grazie per tutto il tempo che mi hai dedicato.
Davide
Prego, grazie comunque per l'interessante discussione anche se un po'
"sgangherata" molto per la mia mancanza di tempo e, un po' per la tua
"logorroicita'" ;-)

Ciao, Valter
--
------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Elio Fabri
22 anni fa
Permalink
Davide Pioggia ha scritto
<una montagna di roba>

Che scrivi troppo ti e' gia' stato detto, per cui mi limito a replicare
...
Non e' vero.
Sperimentando con diverse condizioni, si scoprirebbe facilmente che la
forma (larghezza) della "campana" dipende dalla larghezza della
fenditura e dalla velocita' degli elettroni.
E si troverebbe che la relazione e' proprio la stessa che si ha con
la luce (diffrazione) pur di attribuire agli elettroni una lunghezza
d'onda data dalla relazione di de Broglie.
------------------------------
Elio Fabri
Dip. di Fisica - Univ. di Pisa
------------------------------
Davide Pioggia
22 anni fa
Permalink
...
Va bene, accolgo volentieri questa tua "correzione".

Ho tuttavia l'impressione che il "succo" del mio discorso (per quanto troppo
lungo, troppo metaforico, troppo fantasioso eccetera) non venga inficiato da
questo dettaglio.

In sostanza ciò che cercavo di dire è questo: se noi non avessimo mai
osservato dei fenomeni di "interferenza" fra un insieme di eventi che
classicamente si concepiscono come mutuamente esclusivi, allora non avremmo
mai avuto bisogno di uscire dal modello concettuale "classico".

Il tutto per mettere in evidenza il fatto che sono proprio le "interferenze"
a determinare il "comportamento quantistico", e che se la matrice densità
non ha elementi non diagonali allora le probabilità associate agli elementi
diagonali -benché concepite come "probabilità intrinseche"- non sono
distinguibili dalle "probabilità classiche" (= quelle legate alla "ignoranza
dei dettagli microscopici").

Poiché dicendolo in questo modo "astratto" mi sembrava di rendermi assai
poco chiaro, cercavo di presentare al mio interlocutore una situazione in
cui le "interferenze" non siano osservabili, ed ho pensato a dei ricercatori
che fanno un esperimento dei due fori *ma* con "la luce accesa".

Tu giustamente mi fai osservare che la mia scelta dell'esempio non è stata
ottimale, perché anche con "la luce accesa" la "campana" ha certe
caratteristiche che la rendono "riconoscibile" come "figura di diffrazione".

Si è vero, ma come dicevo mi interessava solo ipotizzare una situazione in
cui non fossero "visibili" (ed "evidenti") i fenomeni di "interferenza".
Potremmo semplicemente immaginare che i nostri ipotetici ricercatori non se
ne accorgano, o che proprio non facciano -per caso- degli esperimenti che
gli consentano di determinare la geometria della "campana" in funzione della
larghezza della fenditura e della velocità degli elettroni (in fondo se ho
immaginato una situazione in cui c'era sempre "la luce accesa" posso anche
aggiungere l'ipotesi che essi non "sperimentino con diverse condizioni",
come invece ipotizzi tu). Oppure posso mettere da parte l'esperimento delle
due fenditure (in fondo non è un esperimento assai frequente: siamo qui da
giorni a discutere se sia mai stato fatto davvero e chi l'abbia fatto o
quando) e discutere un ipotetico caso (assai più complesso, ed è questo che
volevo evitare) in cui la matrice densità ridotta si "diagonalizza", ovvero
un caso in cui gli elementi "non diagonali" (= le "interferenze", o le
"sovrapposizioni degli stati", per dirla in un modo che non condivido) sono
presenti solo in linea di principio, perché di fatto non sono concretamente
ossevabili.

Grazie comunque per la precisazione.

Saluti,
Davide
Elio Fabri
22 anni fa
Permalink
Post by Davide Pioggia
...
Potremmo semplicemente immaginare che i nostri ipotetici ricercatori
non se ne accorgano, o che proprio non facciano -per caso- degli
esperimenti che gli consentano di determinare la geometria della
"campana" in funzione della larghezza della fenditura e della velocità
degli elettroni (in fondo se ho immaginato una situazione in cui c'era
sempre "la luce accesa" posso anche aggiungere l'ipotesi che essi non
"sperimentino con diverse condizioni", come invece ipotizzi tu).
Insomma per amore della tua tesi bisogna assumere che questi
sperimentatori siano alquanto fessi: di questo non si accorgono, quello
non lo vanno a guardare :-)
------------------------------
Elio Fabri
Dip. di Fisica - Univ. di Pisa
------------------------------
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
...
Scusa se mi intrometto, ma questa storia dei termini non diagonali mi
risulta particolarmente incompresibile: un matrice densita' ha elementi
non diagonali oppure no a seconda della base che scegli per
rappresentarla, se usi la sua base di autostati la forma della
matrice e' sempre diagonale. Visto che esistono osservabili quantistiche
incompatibili e' impossibile costruire una matrice densita' che sia
diagonale rispetto a tutte le osservabili che vengono in mente
eccetto il caso di una matrice densita' proporzionale all'operatore
identita', in cui tutti gli stati componenti hanno lo stesso peso
probabilistico. Eccetto il caso detto, ci *saranno* sempre dei termini
non diagonali misurando certe osservabili, comunque tu prepari la
matrice densita'...Questi termini daranno luogo a fenomeni "quantistici".
Per cui non mi pare sensato dire che l'assenza di termini non diagonali
implica un comportamento classico. Forse nessuno ha detto questo ed ho
capito male?

Ciao, Valter
--
------------------------------------------------
Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
unit
22 anni fa
Permalink
Post by Valter Moretti
Eccetto il caso detto, ci *saranno* sempre dei termini
non diagonali misurando certe osservabili, comunque tu prepari la
matrice densita'...
Il punto è che dopo aver misurato l'osservabile in questione (anche senza
guardare il risultato della misura =) ) la matrice densità è diagonale
rispetto a quell'osservabile, quindi in ultima analisi hai sempre a che
fare con
matrici densità diagonali, in seguito alle misure. Cioè i termini non
diagonali non li "vedi" se non per effetti sui termini diagonali ottenuti
dopo una misura, come appunto nel caso della diffrazione. Se ho capito bene
cio' che intendeva il nostro amico prolisso è che comunque cio' che
fisicamente ottieni in seguito alla misura sono matrici densità diagonali,
ovvero distribuzioni di probabilità classiche e che quindi alla fine puoi
dire che "dietro" la matrice diagonale c'è una meccanica statistica classica
di qualche tipo. Questo non è vero e si puo mostrarlo in vari modi, uno dei
quali potrebbe essere il notare (come fai tu) che misure dello stesso
osservabile inframmezzate da misure di un osservabile non compatibile con il
primo portano a risultati diversi. Pero' temo che l'amico prolisso possa
obiettare che la 2nda misura in qualche modo disturba classicamente il
sistema, ma temo che si stia andando un po' nel pignolo e nell'inutile,
sopratutto conoscendo le diseguaglianze di Bell.
Spero di aver centrato il punto.

Ciao,
unit
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
Post by unit
Post by Valter Moretti
Eccetto il caso detto, ci *saranno* sempre dei termini
non diagonali misurando certe osservabili, comunque tu prepari la
matrice densita'...
Il punto è che dopo aver misurato l'osservabile in questione (anche senza
guardare il risultato della misura =) ) la matrice densità è diagonale
rispetto a quell'osservabile, quindi in ultima analisi hai sempre a che
fare con
matrici densità diagonali, in seguito alle misure
Si, ma se subito dopo faccio una misura rispetto ad una osservabile che
non commuta con la precedente, la matrice densita' sara', rispetto a
questa NON diagonale, per cui vedro', in generale, termini
d'interferenza, quindi non e' vero che mi sono ridotto al caso classico...


. Cioè i termini non
...
Purtroppo non ho tempo per discutere, ma questo "disturbo" non ha natura
classica...
Post by unit
il
sistema, ma temo che si stia andando un po' nel pignolo e nell'inutile,
sopratutto conoscendo le diseguaglianze di Bell.
Spero di aver centrato il punto.
forse si, anche se io non ho capito quale sia il punto, visto che ne
sono usciti fuori apparentemente moltissimi, piu' che un punto, mi pare
che ci sia un fiume di punti...

Ciao, Valter
--
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Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Gianni Dondi
22 anni fa
Permalink
...
Mi sembrate un po' carenti rispetto al concetto di decoerenza. Nulla di
grave ovviamente. Il riferimento piu' recente e'

Wojciech Hubert Zurek, Rev. Mod. Phys. 75, 715 (2003)

ma c'e' un articolo classico su Physics Today di Zurek del 1991 che ha
recentemente aggiornato e potete trovare su arxiv come quant-ph/0306072.

Comunque il problema puo' essere schematizzato nel modo seguente.
Assumiamo di avere un sistema a due stati nella sovrapposizione

|psi>=a|1>+b|2>

con |a|^2+|b|^2=1 e lo facciamo interagire con un apparato di misura.
L'effetto di questa interazione e' di creare uno stato entangled del tipo

|phi> = a|1>|fracciagiu>+b|2>|frecciasu>

che e' una situazione decisamente poco rispondente all'osservazione. La
corrispondente matrice densita' contiene dei termini non diagonali che ne
caratterizzano la non classicita'. La forma mixed
|a|^2|1><1||frecciagiu><frecciagiu|+|b|^2|2><2||frecciasu><frecciasu|
descrive invece una situazione tipica della teoria della probabilita'
classica e caratteristica del processo di misura che vogliamo descrivere.
Come si passa dalla forma completa a quella mixed?

La decoerenza risolve il problema assumendo che il sistema di misura, a
causa delle sue proprieta' fisiche, interagisca con un ambiente i cui
effetti non sono controllabili. L'ambiente entrera' nel suddetto stato come

|chi>=a|1>|fracciagiu>|E1>+b|2>|frecciasu>|E2>

per l'interazione tra l'apparato classico e l'ambiente e dunque, se |E1>
ed |E2> sono ortogonali il gioco e' fatto tracciando via il contributo
dell'ambiente che non conosco. Quindi, con tre livelli di interazione
(sistema-apparato di misura-ambiente) ho ottenuto i seguenti risultati:

1- Le correlazioni quantistiche sono sparite e la matrice densita'
descrive solo probabilita' classiche;

2- L'interazione ha selezionato una base preferenziale rispetto alla quale
il sistema fornisce i valori misurati (einselection);

3- Il tutto e' completamente descritto dalle sole leggi della meccanica
quantistica senza ricorrere ad effetti esterni (collasso o altro).

Ritorniamo pero' alla mia questione iniziale: la decoerenza risolve il
problema della misura? Per ora da' soltantanto una buona mano ad Everett.
Post by Valter Moretti
Ciao, Valter
Ciao,

Gianni
--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ***@newsland.it
Valter Moretti
22 anni fa
Permalink
Post by Gianni Dondi
Mi sembrate un po' carenti rispetto al concetto di decoerenza.
Ciao, infatti non ne conosco quasi nulla!
Post by Gianni Dondi
Nulla di
grave ovviamente. Il riferimento piu' recente e'
Wojciech Hubert Zurek, Rev. Mod. Phys. 75, 715 (2003)
ma c'e' un articolo classico su Physics Today di Zurek del 1991 che ha
recentemente aggiornato e potete trovare su arxiv come quant-ph/0306072.
Me lo guardo un po'appena ho tempo.
Per il resto di quello che hai scritto: ci devo pensare un po',
ma e' chiaro che avevo capito tutt'altro!
Ciao, Valter


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Valter Moretti
Faculty of Science
Department of Mathematics
University of Trento
Italy
http://www.science.unitn.it/~moretti/homeE.html
Paolo Russo
22 anni fa
Permalink
[Gianni Dondi:]
Post by Gianni Dondi
recentemente aggiornato e potete trovare su arxiv come quant-ph/0306072.
Scaricato, grazie.
Post by Gianni Dondi
La decoerenza risolve il problema assumendo che il sistema di misura, a
causa delle sue proprieta' fisiche, interagisca con un ambiente i cui
effetti non sono controllabili. L'ambiente entrera' nel suddetto stato come
|chi>=a|1>|fracciagiu>|E1>+b|2>|frecciasu>|E2>
per l'interazione tra l'apparato classico e l'ambiente e dunque, se |E1>
ed |E2> sono ortogonali il gioco e' fatto tracciando via il contributo
dell'ambiente che non conosco.
Uhm... Ni... :-)
In effetti |frecciasu> e |frecciagiu> sono gia` ortogonali.
Basta pensare alla posizione dell'atomo in cima alla freccia;
il prodotto della prob. di trovarlo in un qualsiasi punto dello
spazio nel primo ket per la prob. di trovarlo in quello stesso
punto nel secondo ket e` praticamente nulla, quindi gia` lui e`
ortogonale e ortogonalizza il tutto, figuriamoci se guardiamo
anche tutti gli altri atomi... non che l'ortogonalita` sia
poi molto importante, di per se', perche' l'evoluzione
temporale non la mantiene necessariamente; la faccenda e`
leggermente piu' complicata.
Il discorso di Zurek e` sostanzialmente corretto, ma non
mette in luce il fatto che una qualunque particella di un
apparato di misura (macroscopico) fa da "ambiente" al resto.
Senza questa banale precisazione, uno non capisce come la
base salti fuori introducendo l'ambiente, dato che il confine
tra strumento e ambiente e` convenzionale: nulla mi
impedirebbe di prendere un bel pezzo di ambiente e dichiarare
che fa parte del mio strumento di misura (diciamo una sfera
di ambiente di un'ora luce di raggio, cosi' sono sicuro che
non si puo` stabilire nessun entanglement tra il sistema
osservato e l'ambiente esterno prima che passi un'ora). Da
quando in qua una convenzione ha effetti osservabili?

Ciao
Paolo Russo

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